Fabrizio Pani, 39 anni, lavora alla Marjcar, un’azienda che produce alberi di trasmissione, ma è in cassa integrazione straordinaria; ha votato 5 stelle. Al suo fianco sfila Fabrizio Pani, 34 anni, alla Brake Project costruisce «ferodi», sono materiali d’attrito, lui è in cassa integrazione in deroga; ha votato Pd. Il primo attacca: «Non ho votato centrosinistra, si sapeva che andava a finire così, ma mi dispiace che Grillo non abbia voluto fare gli accordi, alla fine non sono contento di questo». L’altro replica: «Non va bene, questo governo con il Pdl. Dovevano provare a fare gli accordi con Grillo, adesso in pratica sta governando la vecchia Dc». Omonimi, amici e anche compagni di lavoro per tanti anni, tutti e due scontenti e arrabbiati reggono insieme lo striscione rosso fuoco della Fiom di Cagliari, da dove sono arrivati stamattina. Ce ne sono a migliaia in piazza oggi, di Fabrizio Pani, con le loro facce deluse da tutte le sinistre cui avevano dato fiducia. Litigano, poi spiegano a una voce sola: «La nostra zona industriale, Macchiareddu, doveva essere la silicon valley sarda. E invece è diventata un cimitero, le aziende ferme non ripartiranno mai più. E non ce n’è uno, di quelli, che abbia un’idea come farle ripartire».

Quelli sono i politici, naturalmente. Se ne vedono pochi, in questa piazza. E sono tutti diversamente dislocati sul fronte anti-larghe intese. C’è Nichi Vendola («La costruzione della grande coalizione del lavoro non è solo un fatto politico o sociale, è drammatica la solitudine dei lavoratori. Il tema è il lavoro tutto il resto sono chiacchiere»). Ci sono tutte le sfumature della sinistra extraparlamentare, c’è Antonio Ingroia («Bisogna costruire una nuova alleanza, non di vertice, alternativa rispetto ai poli del governo dell’inciucio e dei 5 stelle»), Paolo Ferrero (Prc), Marco Ferrando (Pcl), il dipietrista Maurizio Zipponi. Poi c’è la spicciolata dei democratici convinti di essere lì «a titolo personale» e invece da un messaggio del neosegretario Guglielmo Epifani scoprono di essere «una delegazione». Fabrizio Barca si fa vedere in Piazza della Repubblica di buon mattino, un caffé con Landini e poi parte alla volta di La Spezia. Pippo Civati passa da solo in mezzo alle tute blu, «Guarda che io ti ho votato», lo ferma un uomo con la stella rossa sul basco. Fausto Raciti, deputato dei Giovani democratici, la giovanile che – da sola – ha aderito al corteo. E Sergio Cofferati, Vincenzo Vita, Paolo Nerozzi. Marco Miccoli, ex segretario Pd di Roma, dove la prossima settimana Ignazio Marino sfida Gianni Alemanno: Pd contro Pdl? Parla del ’suo’ governo Pd-Pdl: «Ieri il governo ha sbloccato 40 miliardi per le aziende creditrici, un miliardo per la cig, certo è una goccia nel mare, e la medicina è amarissima».

Matteo Orfini, giovane turco orfano del compagno Stefano Fassina: è diventato viceministro e non è venuto perché «non il governo non può fare due parti in commedia». Va bene Fassina, dice Orfini, ma «il Pd non dovrebbe avere paura di stare fra questi lavoratori. Sarà il senso di colpa. Sarà più facile la prossima volta, se il Pd ritrova se stesso» si augura, e poi scappa verso il flash mob dei professionisti dei beni culturali. Altra lotta, ma è la stessa: stasera nella Capitale c’è la notte bianca dei musei, e i lavoratori protestano per l’uso dei volontari per gli straordinari. Ma quando il Pd ritroverà se stesso, cosa sarà rimasto? «L’abbiamo sempre detto: il Pd è la stessa cosa del Pdl. Loro hanno smesso di essere il riferimento dei lavoratori e della sinistra», replica Dino Alberti, deputato a 5 stelle nel gruppetto dei suoi.

La (temuta, attesa) contestazione ai dirigenti democratici non arriva: i fiommisti sono tradizionalmente disciplinati. O, meglio, perché chi oggi scende in piazza è persino troppo deluso e sfiduciato dalla politica, tutta. Michele Antonaci, di Torre Santa Susanna, Brindisi, porta in piazza una bandiera con la faccia di Enrico Berlinguer, dono del padre Luisio, «a casa nostra era un simbolo». Daniela Valorosi, delegata Fiom della Kemet di Bologna: «Eravamo in 1100, siamo rimasti in 700 e ci è andata bene. Cosa mi aspetto dal governo? Che cada». Grazia Guerzoni, della Piusi, Mantova. «La nostra azienda va bene, ma tutt’intorno è un pianto». Cristina Beduschi, sua segretaria Fiom: «Le premesse non sono buone, il Pd è finito in alleanza con quelli che fino a ieri negavano la crisi». Laura Bronchi, settore orafo di Arezzo sfila fra i suoi compagni dell’Unoaerre. «Il lavoro non c’è. La riforma delle pensioni tiene la gente in fabbrica, di posti non se ne liberano». Raoul, Intecs L’Aquila: «Pago un mutuo per una casa che il sisma ha trasformato in macerie. In azienda siamo rimasti in 129, tutti ingegneri, tutti in solidarietà, 30 sono stati licenziati e in 20 sono andati volontari in mobilità». Marco, 49 anni, Fpi di Ferrara, ex Romagna Ruote ex Alcoa ex Reynolds, chiusa da un anno in cerca di un altro compratore: «Alla ministra Fornero dico: venga in catena, tre turni alla settimana, arrivi a 65 anni con 45 di contributi. Poi riscriva la legge».

Di sinistra, con tutti, non è aria neanche di parlare. «Ho votato 5 stelle e centrosinistra e sono deluso al 100 per cento», la chiude là Marco. E si capisce: se non passa per questi uomini e per queste donne, semplicemente la sinistra non passa.