Sono un milione e 300mila le vittime delle «nostre» guerre al terrore dopo l’11 settembre 2001, in Afghanistan, Iraq e Pakistan: parlano da soli i dati del rapporto di alcuni organismi internazionali indipendenti, tra cui il prestigioso «International Physician for the Prevention of Nuclear War», Nobel per la pace nel 1985. Cifre per difetto: sono infatti esclusi i conflitti più recenti di Libia, Siria e l’ultima a Gaza. Questi dati dicono, nella disattenzione generale, che le guerre di vendetta, inventate di sana pianta e/o «umanitarie» hanno prodotto una vera e propria ecatombe: centinaia di migliaia di morti, per gran parte civili, procurati con bombardamenti aerei, cannonate, lanci di missili Cruise, avvelenati da uranio impoverito e massacrati con le cluster bomb.

Viene allora da pensare all’intercalare abusato ogni volta dai leader occidentali pronti all’impresa bellica contro il terrorismo jihadista di turno: «Siamo in guerra contro il terrorismo non contro l’islam». È un ritornello, così tante volte ripetuto che viene da pensare si tratti proprio di coda di paglia. Perché deve essere forte la consapevolezza che la nostra schiacciante potenza militare, sempre indiscriminatamente usata con tanti «effetti collaterali», non possa non produrre insieme alle stragi di civili anche la percezione in loco – da parte di chi subisce quegli interventi militari – che l’Occidente abbia una dichiarata volontà genocida contro i civili. Che nella fattispecie, in Afghanistan, Iraq e Pakistan sono in grande maggioranza musulmane.

«Non siamo in guerra contro l’islam», ripetono Obama, Hollande, Cameron, perfino Renzi. Nella convinzione profonda che la guerra ridotta all’automatismo dei piloti dei cacciabombardieri e dei droni, sia più umana di quella dei tagliagole. È immaginabile pensare che tanta superficialità criminale semini solo tanto odio distillato, terreno fertile poi per altrettanto criminali integralismi reazionari che navigano dentro un senso comune mediorientale che vede l’Occidente sinonimo di guerra e stragi?

In questi giorni vediamo uno dei risultati nefasti delle nostre guerre: la caccia al cristiano in Kenya, mentre continua la guerra civile tra musulmani e cristiani in Nigeria su cui soffia Boko Haram, ma anche la disperazione dei cristiani siriani e ben prima il terrore negli occhi dei cristiani iracheni. Chi ha davvero messo a repentaglio la loro vita se non la «nostra» guerra in Paesi, come l’Iraq, dove prima di tre interventi militari americani,cristiani e musulmani convivevano in pace?

Il papa bisognoso di martiri per rifondare la sua Chiesa, prega per i cristiani perseguitati. Speriamo non taccia sul milione e 300mila morti provocati in gran parte dalle guerre statunitensi fatte ringraziando il dio che benedice l’America.