«La nostra vita, la nostra ribellione, la nostra lotta: Femminismo». Questo lo slogan con cui si apre la 16ma Marcia notturna femminista, che si terrà oggi ad Istanbul.

Una marcia per sole donne e il perché ce lo spiegano le partecipanti: «Viviamo in un paese in cui la cultura patriarcale impone che la donna debba essere sempre accompagnata da un uomo. Marciare da sole è un segnale di rottura necessario». L’organizzazione ha rilasciato un comunicato che denuncia: «Viviamo sotto stato di emergenza, regolato secondo logiche di guerra, soggette ad attacchi che aumentano ogni giorno e sono sempre più tollerati. Vogliono lasciarci senza respiro. Ci ritroveremo nella marcia per tornare forti tutte insieme».

Incontriamo un’attivista di Kadav, un’associazione femminista e Lgbti+ con progetti di lotta alla violenza di genere, inserimento lavorativo, sostegno in carcere e che, oltre a fornire supporto legale e psicologico, ha attivato una linea telefonica gratuita dedicata alla violenza di genere.

Ci spiega: «Lavoriamo su casi di stupro e violenza familiare. Costruire la fiducia per convincere qualcuno ad aprirsi e rivelare esperienze, paure e informazioni sensibili richiede molto tempo. Oggi in qualunque momento un uomo può entrare da quella porta e pretendere completo accesso a tutti i nostri file, che diventano di proprietà pubblica e del governo».

Le istituzioni giuridiche, al collasso per le migliaia di casi legati al tentato golpe e guidate dalla mano pesate della politica, dedicano tutte «le risorse alla persecuzione dei golpisti. Oggi è difficile trovare una corte ben disposta a dedicare tempo ed ascoltare i nostri casi. Più spesso vengono rifiutati o accantonati».

E mobilitarsi è sempre più difficile, perché le associazioni lavorano «sotto una pressione fortissima: ogni volta che pensiamo un’attività, che pubblichiamo qualcosa o ci incontriamo con altre associazioni, si impone un istinto di autocontrollo: viviamo nel timore di superare un limite aleatorio ed invisibile, ma terribile».

Un limite che ha portato alla chiusura di 11 associazioni nell’ultimo anno e mezzo e al commissariamento di molte altre: «In passato abbiamo firmato un comunicato che denunciava il commissariamento di organizzazioni femminili, finite spesso con un uomo al comando imposto dall’alto. Oggi per quella firma potrebbero entrare qui e distruggere tutto quello che abbiamo costruito in questi anni».

La situazione delle donne nel paese non è rosea neppure per l’istituto di Statistica Turco (Tuik), che nel suo rapporto del 2017 ha rivelato quanto forte sia ancora la disparità di genere nel lavoro. Solo il 28% delle donne lavora contro il 65% degli uomini. Soltanto il 16% delle donne occupa posizioni manageriali. E di lavoro si può anche morire, come denunciato dall’Associazione per il Sicurezza sul Lavoro (Isig): negli ultimi 5 anni 580 le lavoratrici che hanno perso la vita. Il 90% non aveva alcuna tutela sindacale, il 75% non aveva alcun contratto.

Dopo lo scorso 4 marzo ad Ankara, quando la polizia è intervenuta con violenza contro un corteo di donne, oggi con rinnovato coraggio le turche scenderanno in strada, perché questa è «La nostra vita, la nostra ribellione, la nostra lotta: Femminismo».