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Noi, l’unico futuro possibile

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Shahid, 15 anni, «sono uno della generazione digitale, sempre interconnesso. E mia cugina di due anni ha già acquisito un sapere tecnologico maggiore del mio»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 5 aprile 2014

Il mio primo approccio con la «tecnologia» è stato all’età di tre anni con il computer Sapientino, che mi ha insegnato i rudimenti della lingua inglese, della matematica e della grammatica italiana. Sono uno della «generazione digitale». Dall’infanzia a oggi la tecnologia è stata sempre presente nel mio modo di apprendere nuove conoscenze. Wikipedia, per esempio, mi ha spesse volte aiutato ad approfondire lezioni svolte in classe o a darmi una visione più elaborata di argomenti che conoscevo solo parzialmente, consapevole di tutti i rischi che comportano le informazioni diffuse liberamente in internet. Nella mia classe di terzo liceo scientifico consultiamo Wikipedia, ma non solo, con il nostro professore di filosofia o con la prof di matematica. Difatti, oltre a lezioni tradizionali in cui alcuni insegnanti, seduti dietro la cattedra, ci leggono un testo e lo integrano con loro interventi, abbiamo anche la possibilità di utilizzare la rete e la sua immensa mole di informazioni che impariamo a selezionare con l’aiuto dei docenti. Finalmente, i nostri Smartphone e Iphone possono essere liberamente usati in classe, senza necessità di doverli guardare di nascosto mezzi infilati nelle tasche delle felpe. Penso che la mia generazione sia consapevole di avere a disposizione la possibilità di conoscere innumerevoli informazioni e di entrare in contatto con una quantità di individui che, in altri tempi, non sarebbe stata neppure immaginabile. Eppure a volte non sfruttiamo pienamente queste potenzialità e ci fermiamo a conoscenze superficiali e relazioni sociali non autentiche. Ma sono i rischi che dobbiamo correre. La rete è stata «inventata» negli anni ’60. Arpanet era una sigla che identificava un sistema di spionaggio che gli Stati Uniti usavano come difesa durante la Guerra fredda.
Noi, i «nativi digitali», siamo i figli di quella generazione nata durante lo sviluppo tecnologico della rete che si è chiamata Internet e stiamo lentamente imparando a sfruttarne appieno tutte le caratteristiche, ma non possiamo essere del tutto padroni delle funzionalità di questo strumento. Lo impariamo a conoscere giorno dopo giorno, utilizzandolo in ogni momento della nostra vita, andando così a creare una sorta di dipendenza, che può essere intesa dagli adulti come un fattore negativo (a volte a ragione), però utile a noi per approfondire l’approccio alla Rete. Un aspetto di questa dipendenza è che non posso stare senza il mio Smartphone spento e che lo devo avere sempre vicino, così da trovare a portata di mano lo strumento che mi permette di stare sempre in contatto con i miei amici, di comunicare in tempo reale, o quasi, con tutti loro. Allo stesso modo, i miei amici hanno uguale necessità. Siamo una generazione di interconnessi, che si scambiano dati digitali quasi in ogni momento della giornata , molto velocemente, saltando da un video a una chat a una email. Con estrema naturalezza. Stiamo preparando la strada alla generazione futura. Mia cugina di due anni usa già il mio Smartphone e l’Iphone di suo fratello. Conosce benissimo la procedura per passare da una schermata a un’altra e accedere al lettore musicale. Tutto quello che noi stiamo sperimentando lo passeremo a questi nuovi nativi digitali che, con un balzo, sono passati oltre il Sapientino, piombando direttamente su tablet e smartphone. Da noi dovranno imparare a essere molto più multitasking di quanto dovremo fare noi stessi nei prossimi anni. Siamo adolescenti che dovremo confrontarci con una vita da giovani adulti non proprio facile. La rapidità con cui usiamo i nostri strumenti tecnologici potrà tornarci utile per affrontare più situazioni complesse simultaneamente. Noi siamo il futuro.

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