«Con le guarimbas ci siamo ripresi la strada, ci servono per farci sentire», dice al manifesto lo studente venezuelano. Lo chiameremo Miguel. Frequenta la facoltà di Scienze della comunicazione all’università privata Monte Avila, casa dell’Opus Dei in Venezuela. Vive in un quartiere di classe media della capitale. In famiglia sono tutti chavisti e militanti, padre, madre e fratelli. Lui, un acceso oppositore. Fa parte dei «Manitas blancas», chiamati così per via del palmo di mano dipinto di bianco che gli studenti mostrano quando avanzano verso la polizia. Manos blancas arriva in Venezuela nel 2007 sull’esempio di Otpor (Resistenza), il gruppo “pacifista” finanziato dalla Cia per orientare le manifestazioni nella ex-Jugoslavia nel 2000. Il suo simbolo è un pugno, i cui colori variano a seconda del posto in cui si riproduce. Un simbolo di “pace”, secondo il guarimbero, ma anche di «limite, frontiera della dignità che non ti permetterò di oltrepassare», che segue le tecniche “non-violente” illustrate nel libro dell’ex agente Cia, Gene Sharp.

Per cosa protestate?

Soprattutto contro l’insicurezza e l’impunità prodotte da questo governo, che ha distrutto l’economia, ha portato la fame e le code, e non sa proteggere gli studenti nelle università. Ci sentiamo in pericolo.

Lei soffre la fame? Ha subito aggressioni per strada?

Io vivo in un quartiere di classe media, frequento un’università privata perché in quelle pubbliche stanno sempre in piazza, e voglio proseguire gli studi in Europa. Però vedo la domestica che fa le code. E i turisti non vengono più in Venezuela perché hanno paura, nonostante tutte le bellezze naturali del paese. Ogni giorno le camere mortuarie sono piene di cadaveri. Una volta ho visto banditi sporgere le armi dai finestrini, sono scappato insieme ai miei amici. Dopo le manifestazioni del 12 febbraio, durante gli scontri, sono stato preso a mal partito da un individuo, evidentemente chavista, che poi ha chiamato altri. Quando ha visto la Mano bianca sulla maglietta, simbolo delle lotte studentesche, mi ha preso a calci chiamandomi «fascista assassino». Sono finito all’ospedale. I collettivi che appoggiano il governo devono essere disarmati.

Le «guarimbas» hanno provocato morti, feriti, devastazioni. Lottate contro l’insicurezza e poi la producete? Chiedete più polizia e poi protestate per la presenza della Guardia nacional bolivariana?

Le guarimbas sono un’espressione democratica, il governo deve garantirne l’espressione, non mandare la Guardia nacional. Ci sono dei momenti in cui si deve ricorrere a certi metodi, che sostengono le manifestazioni pacifiche. In questo modo ci stiamo facendo sentire e abbiamo deciso di continuare.

Alcuni dirigenti della Mud chiedono la caduta del governo. Lei è d’accordo?

Loro fanno politica, hanno progetti, noi protestiamo, vogliamo solo studiare in pace, girare tranquilli.

Alcune organizzazioni studentesche hanno accettato il dialogo con il governo. Cosa ne pensa?

Dev’essere un dialogo alla pari. Noi abbiamo le nostre condizioni: la sicurezza e la liberazione dei detenuti, in primo luogo Lopez e Simonovis.

L’ex commissario Ivan Simonovis ha sparato su manifestanti disarmati a Puente Llaguno, durante il golpe del 2002. Fra gli arrestati ci sono persone accusate di omicidio. Siete contro l’impunità e volete fuori dal carcere gli assassini?

Si tratta di prigionieri politici, vittime della dittatura chavista.

Secondo gli indicatori internazionali, il Venezuela ha uno dei più alti indici di sviluppo umano, i diritti economici sono garantiti, si studia gratuitamente. Nella IV repubblica gli studenti scendevano in piazza per la scuola pubblica, e morivano. In quale tipo di società le piacerebbe vivere?

IV, V, VI repubblica… Non posso ricordarmi com’era prima e non mi interessano i grandi discorsi. Sono contro le violenze delle parti più estreme, ma mi considero uno studente di centro-destra. Voglio viaggiare con tutti i dollari a disposizione senza dipendere da Cadivi, senza questo controllo dei cambi, voglio scegliere cosa comprare, ma anche vivere qui con tutto questo, lavorare in una televisione.

Lei è un laureando in comunicazione sociale. Come valuta l’informazione sul Venezuela? I media internazionali parlano di violazione dei diritti umani. Ha potuto verificarlo di persona?

Io no, ma alcuni amici me ne hanno raccontate, molti sono stati fermati, altri sono in carcere. Qui le televisioni si dividono fra quelle che trasmettono solo telenovela e poca informazione, e quelle che santificano il dittatore Chavez. L’unica che informava per davvero era Rctv, ma Chavez non gli ha rinnovato la concessione e ha smesso di trasmettere. C’era Globovision ma è stata comprata da uno vicino all’apparato e si è ammorbidita.

Rctv ha partecipato al colpo di stato contro Chavez nel 2002. Allora lei aveva 6 anni, in una foto pubblica compare con la bandiera bolivariana per mano di sua madre. Cos’è cambiato dopo?

Crescendo, Chavez non mi è piaciuto, nel 2008 sono stato eletto segretario del Centro studenti della mia università e quando è arrivata Manos blancas ho aderito. Ho cominciato a litigare in famiglia perché sono tutti chavisti. E in questo mese la situazione è diventata più difficile, evitiamo di parlare di politica, è molto doloroso. Spero che si risolva presto.