Vittorio Ferraresi, 26 anni da compiere a settembre, studente di Giurisprudenza, è uno dei due pentastellati che siede in commissione Giustizia alla Camera. E giovedì scorso è intervenuto in Aula e in diretta tv per motivare il no del Movimento 5 Stelle al ddl – passato ora al vaglio del Senato – che introduce la pena della detenzione domiciliare e rimodula l’istituto della messa alla prova.

Ha parlato di Giuseppe Uva e di quanti attendono ancora giustizia per un congiunto morto mentre si trovava sotto la custodia dello Stato. Eppure il suo discorso è stato criticato, per esempio da Sel, perché a tratti intriso di un giustizialismo piuttosto retrivo. Cosa risponde?

Il nostro è un «no» non ideologico, non politico, ma di merito, tecnico. Non siamo giustizialisti, siamo per la certezza della pena ma anche per la rieducazione del condannato. Il nostro ragionamento non è quello della Lega nord, almeno non totalmente. Ci siamo astenuti sull’articolo che riguarda la messa alla prova perché condividiamo il principio generale ma chiedevamo di migliorarlo, per esempio escludendo reati come lo stalking. Abbiamo presentato tanti emendamenti frutto di un lavoro congiunto con esperti di diritto ma li hanno respinti tutti. Non è un buon sintomo di collaborazione. Al provvedimento che riguarda la detenzione domiciliare abbiamo votato no perché siamo contrari allo strumento della delega.

Una questione di metodo?

Riteniamo che il Parlamento sia ormai svuotato di potere, lo abbiamo visto col decreto sull’emergenza ambientale la cui legge di conversione è passata alla Camera tre settimane fa, con il decreto “del Fare”, con il decreto “svuota carceri” e pure con la legge di sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Pongono questioni importanti affrontate con l’escamotage dell’urgenza e inseriti in pacchetti quasi sempre disomogenei. Andrebbero invece affrontati separatamente, considerando attentamente le conseguenze. E invece abbiamo votato 200/300 emendamenti a catena fino alle 2 di notte: non è serio.

L’alternativa?

Basterebbe analizzare la popolazione carceraria: il 33% è straniera e altrettanti sono in cella per violazione della legge sulle droghe. Quindi cominciamo col rivedere la legge Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini.

E l’ex Cirielli?

Andrebbe valutata, ma non posso farlo da solo. Devo prima consultarmi con il gruppo. Però credo che vada valutata attentamente – questa è la mia posizione personale – la possibilità di far scontare la pena agli immigrati nei paesi di provenienza, ovviamente solo se rispettano i diritti umani.

È una sua posizione personale, Grillo sarebbe d’accordo?

Grillo ha detto che lo ius soli non era una priorità ma sui clandestini non si è mai pronunciato.
Non è vero, basta fare un giro su You Tube, ma andiamo avanti.
Io parlo sempre a titolo personale perché noi non siamo come loro, siamo portavoce dei cittadini: su tutte le questioni siamo soliti prima confrontarci con il gruppo dei 5 Stelle e poi per quelle particolarmente delicate vogliamo il responso degli attivisti. Faremo così anche per la cannabis, anche se noi siamo favorevoli alla depenalizzazione della coltivazione a uso personale e terapeutico. La prossima settimana in commissione analizzeremo il testo di Sel sul tema, che condividiamo.

Lo condividete ma non lo avete firmato.

Ancora no perché la decisione va presa in modo collegiale, come le ho detto. Faremo un sondaggio on line.

E cosa si aspetta che risponderanno i suoi elettori?

Una delle proposte più votate sul blog di Beppe Grillo, quindi sul portale del M5S, è la legalizzazione della cannabis: è un problema molto sentito, non solo dai consumatori ma anche da chi capisce che solo in questo modo si sottrae il business alle mafie.

Avete bocciato il decreto «svuota carceri» perché, dite, mette in libertà i mafiosi. E sul ddl votato alla Camera volevate ridurre il plafond di reati a quelli con pena edittale fino a 3 anni. Per voi il carcere non è l’extrema ratio.

Quelle dichiarazioni riguardanti il decreto svuota carceri sono state fatte quando il testo non era ancora finito. Poi forse anche per merito nostro è stato modificato. Riguardo il ddl invece, quelli erano emendamenti ostruzionistici che poi abbiamo ritirato. Pensiamo che la detenzione domiciliare da sola non serva a una effettiva risocializzazione del condannato, comunque ci saremmo accontentati di escludere alcuni reati, come lo stalking o i reati contro la pubblica amministrazione. Avremmo voluto che il parlamento si prendesse la responsabilità di stabilire per quali reati prevedere la detenzione domiciliare, e non lasciare la discrezionalità al giudice. È un onere troppo gravoso per i giudici che non hanno la tranquillità processuale necessaria: i tribunali sono intasati di processi non smaltiti, i giudici sono diventati macchine e gli imputati numeri. Così non se ne esce.

Ma è pur sempre un primo passo per combattere l’abuso di carcerazione preventiva, non crede?

Questo è un problema che non è stato affatto affrontato nel dibattito. Però prima vanno affrontati i problemi che affliggono i servizi sociali, le forse dell’ordine, i tribunali… Vanno ristrutturate le carceri e depenalizzati i reati minori. Il problema è che in Italia si comincia sempre dalla parte sbagliata, meno coraggiosa. Comunque la prossima settimana faremo un contro-piano a quello governativo, lì ci saranno le nostre proposte.

La Corte di Strasburgo ci ha dato poco tempo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. E se si cominciasse con l’amnistia e l’indulto?

Assolutamente contrari. L’indulto del 2006 non ha risolto niente. Abbiamo a cuore la certezza della pena. E non possiamo sempre ricorrere a misure emergenziali.

L’amnistia è prevista nella Costituzione, ci sarà un motivo.

Sì, ma magari era prevista per alcuni reati che si voleva depenalizzare. La carcerazione in Italia in questo momento è considerata anche dall’Europa come uno strumento di tortura. Abbiamo bisogno di provvedimenti organici strutturali che mirino al futuro, cosa che in Italia non si fa mai.