Le donne della foresta stanno combattendo in prima fila per difendere l’Amazzonia e i diritti delle loro comunità. «Difendere il popolo indigeno vuol dire difendere l’umanità, difendere la foresta amazzonica vuol dire difendere il pianeta», afferma con forza e convinzione Nara Barè, la più rappresentativa di queste donne. Nel recente viaggio in Europa, accompagnata da Greenpeace, ha più volte ribadito la necessità di dare un senso al futuro, attraverso la difesa dei diritti umani e dell’ambiente. Abbiamo incontrato Nara a Milano per parlare del ruolo delle donne indigene e del loro impegno dentro e fuori le comunità a cui appartengono. Nara è nata nello Stato brasiliano di Amazonas, in un municipio a 800 km da Manaus, nella regione dell’Alto Rio Nero, al confine con Colombia e Venezuela, dove gli indigeni rappresentano il 90 per cento della popolazione. Nella regione vi sono 23 etnie differenti, ognuna con la propria lingua. Nara è di etnia Barè e la sua comunità è raggiungibile solo per via fluviale. In questa realtà si è sviluppato, a partire dagli anni ’80, il primo movimento delle donne indigene brasiliane, con la costituzione dell’Associazione delle donne del Rio Nero, per avere rappresentanza nei processi decisionali all’interno delle comunità.

Nara ci parla dell’importanza che hanno assunto le donne indigene nel contesto di lotta e difesa dei loro popoli: «L’Amazzonia è stata sempre vista come un territorio da sfruttare e non come un territorio da salvaguardare. Noi indigeni abbiamo sempre rappresentato l’unico ostacolo alla volontà di distruzione. Abbiamo subito, per questo, nel corso del tempo, un processo di occupazione e persecuzione che continua fino ad oggi. Le donne indigene non possono più assistere alla devastazione dei loro territori e alle violenze subite dai loro uomini. Abbiamo capito che era giunto il momento di lottare insieme a loro. Abbiamo fatto comprendere ai nostri padri, fratelli e mariti che la partecipazione alle iniziative insieme ad essi avrebbe migliorato la vita di tutti. Oggi vedo molte donne indigene, anche di altre zone rispetto al Rio Nero, che alzano la voce e rappresentano i loro popoli». Nara è stata eletta qualche mese fa coordinatrice delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia brasiliana(Coiab), prima donna a rappresentare 160 popoli indigeni di nove stati brasiliani. L’assemblea che la ha eletta riuniva 600 rappresentanti di tutta l’Amazzonia brasiliana ed era costituita per il 70% da uomini. Dice Nara: «Non fu una disputa tra uomini e donne, ma fu il riconoscimento alle comunità indigene del Rio Nero, alla lotta delle donne e alla credibilità che ci eravamo conquistate. Essere donne indigene è oggi sinonimo di resistenza e tenacia. La nostra presenza è importante, in una società che cerca di rendere invisibili gli indigeni. Il nostro impegno in prima fila rende più visibili gli indigeni a tutto il mondo».

In Nara si sommano la forza di essere donna e quella di essere indigena. Le associazioni delle donne indigene affrontano tutte le questioni che riguardano le comunità in cui vivono: la violenza sulle donne, la gestione del territorio, la salute, l’educazione dei figli, le attività lavorative. Nara ci parla delle attività lavorative che le donne indigene svolgono nei territori amazzonici. L’artigianato è la principale attività portata avanti delle donne e che consente di ottenere un reddito di cui la comunità ha bisogno. Vengono creati pezzi e opere d’arte utilizzando i prodotti naturali della foresta. Dice Nara: «Il nostro artigianato è il simbolo di tutto, la nostra cultura, il nostro modo di vivere, le nostre usanze, ma sempre più spesso le donne hanno difficoltà a procurarsi il materiale nelle aree di deforestazione». Nara ci parla anche delle attività agricole svolte sia dagli uomini che dalle donne, nel rispetto dell’ambiente: «Il nostro sistema agricolo è un insieme di saperi e di pratiche agricole, di tecniche per la gestione dello spazio da coltivare in modo naturale, con una rete sociale di scambio di sementi e piante, per essere indipendenti da un punto di vista alimentare. Siamo, però, sottoposti alle forti pressioni delle attività legate all’agrobusiness, che con il loro carico di veleni inquinano il terreno e le acque dei fiumi, interferendo con le nostre attività».

Nara dice che il suo impegno maggiore sarà quello di coinvolgere altre donne indigene negli organismi che coordinano le attività sul territorio, anche per migliorare il sistema di comunicazione tra le comunità. Quando le chiediamo se c’è difficoltà di comunicazione tra le varie comunità, visto che ciascuna di esse si esprime nella propria lingua, risponde con un sorriso: «Se si parla di difesa della foresta è facile intendersi, anche con chi parla inglese». Attualmente Nara vive a Manaus, dove ha sede l’organizzazione che presiede, ma dice di sentire nostalgia dei luoghi in cui è nata, della famiglia, dei prodotti del suo territorio, del fiume, della libertà di una vita senza muri. Continua Nara: «L’impegno è grande perché è necessario esercitare una pressione politica costante, promuovendo forme di mobilitazione per respingere i tentativi, che avvengono quotidianamente, di far retrocedere i nostri diritti».

Sta succedendo proprio in questi giorni a Brasilia (dal 23 al 27 aprile), dove si ritrovano tutte le organizzazioni indigene del Brasile per la maggiore mobilitazione dell’anno. Nell’Accampamento Terra Libera sono in corso numerosi dibattiti e manifestazioni che coinvolgono anche i movimenti sociali. Si parla di demarcazione dei territori, criminalizzazione dei movimenti indigeni, iniziative legislative del governo Temer contro gli indigeni, diritto ai servizi di base come salute e educazione. Conclude Nara: «So che le donne indigene non mi lasceranno sola. So che si impegneranno sempre di più per avere voce nelle comunità, ma anche nei municipi, in Brasile e a livello internazionale».