«Non vogliamo pagare noi le colpe dei mafiosi». Il grande calderone maleodorante di Mafia Capitale è cominciato proprio dove lavora Samanta. L’Ama – l’azienda municipalizzata romana che si occupa di monnezza – aveva come suo amministratore delegato quel Franco Panzironi arrestato la scorsa settimana come uno dei capi del cupolone. «Fu lui ad assumere su indicazione del sindaco Alemanno 1.500 loro amici, parenti e amici degli amici».

Quel giorno di due anni fa Samanta lo ricorda bene. «Vidi piangere i ragazzi che avevano vinto il concorso, tanti giovani che si sono visti superare ingiustamente da paraculati assunti a chiamata diretta in spregio alle regole e alle leggi». Quei 1.500 continuano a lavorare, mentre i vincitori di concorso sono quasi tutti a casa. «Sono riusciti ad entrare solo quei pochi che si potevano permettere di pagare l’avvocato per fare causa», racconta Samanta con la faccia triste.

Le denunce del sindacato – della Cgil in particolare – erano già partite da tempo. «Il malaffare era sotto gli occhi di tutti». E il suo stretto legame con i disservizi. «I 1.500 neo assunti ad esempio erano nettamente privilegiati. Io, come tanti dei 7mila che lavoriamo ad Ama, sono operatrice sulle strade: un lavoro duro, all’aperto, per ore e ore. Loro invece erano addetti alla sola raccolta differenziata nelle piazzole del centro storico, un compito molto più leggero. E soprattutto uno spreco di operai e mezzi che potrebbero essere usati nelle periferie dove la monnezza si fa fatica a caricarla».

Per scioperare ieri Samanta ha «rinunciato agli 80 euro di salario giornaliero». La stessa cifra che Renzi le ha messo in busta da maggio. «Quello fu un buon inizio, ma è diventato marginale. Come operatori a 1.200 euro al mese dopo 15 anni di anzianità aziendale facciamo sempre fatica a tirare aventi e anche noi abbiamo il contratto in scadenza».

Samanta ha percorso il corteo assieme ai colleghi con la bandiera della Cgil, ma quella sbagliata: invece della sua federazione – la Fp dei pubblici – aveva quella della Filcams – commercio. «Ma la Cgil è una grande casa, siamo tutti uguali, basta che la bandiera sia rossa», risponde agli scherzi entrando nella piccola e già stipata piazza Santi Apostoli. «Sono qua per rappresentare la dignità del mio lavoro sporcato dalle contaminazioni mafiose. La gestione malsana della nostra azienda la paghiamo soprattutto noi e i cittadini. Noi lavoratori ora abbiamo paura. Già qualche politico vuole usare strumentalmente quello che è successo per chiedere la nostra privatizzazione. E questo a noi non va bene perché sappiamo benissimo che dovunque le municipalizzate come la nostra sono state privatizzate c’è stato un aumento di costi per i cittadini, posti di lavoro a rischio o condizioni di lavoro peggiori».

Per questo benedice l’inchiesta. «Siamo tutti col sindaco Marino che ha ridotto le spese del nostro consiglio di amministrazione e soprattutto con il procuratore Pignatone che ha scoperchiato le nefandezze nella nostra azienda. Devono andare avanti perché noi vogliamo una Ama e una Roma più pulita».