Discrete e onnipresenti, le tracce dei nostri rapporti con il mondo vegetale si possono inseguire su vari fronti. Che siano le raffigurazioni degli iris sulle pareti del palazzo di Cnosso o dell’oleandro su quelle delle ville pompeiane, il nome della centaura – o fiordaliso – da quello del centauro Chirone che con questa pianta si sarebbe curato, o del classico narciso, citato già da Omero, Virgilio e Ovidio. Fiori mediatori, chiamati, come il gelsomino, a inghirlandare nell’India induista le statue degli dèi, o la calendula, impiegata nei templi latini prima d’essere consacrata alla Vergine Maria. Fiori eletti a emblemi, come ai tempi della monarchia francese di Clodoveo avviene per gli iris o per la Fritillaria meleagris che, con la sua sorprendente variegatura a scacchi, sarebbe tra gli elementi per identificare il presunto, unico ritratto realizzato in vita di uno Shakespeare che la tiene in mano sul frontespizio dell’Erbario del contemporaneo botanico inglese John Gerard. E non si tratta qui che di alcuni soltanto dei riflessi della pervasiva presenza delle piante nella nostra vita che Noel Kingsbury ci racconta ne La storia dei fiori e di come ci hanno cambiato la vita (illustrazioni di Charlotte Day, L’ippocampo, pp. 216, € 19,90). La popolarità e le mode dei fiori vengono evidenziate, specie in giardino.

Sottolineando il fondamentale discrimine dell’avvio dei grandi viaggi di esplorazione e come nell’Inghilterra elisabettiana la lavanda venisse offerta a mazzetti, associata all’amore, e già nel secondo Settecento il giacinto avesse scalzato nei Paesi Bassi il predominio di tulipani, rose e narcisi. La diffusione sistematica dei fiori si avrà però a partire dall’Ottocento. Con la coltura selettiva e gli incroci delle rose, le dalie introdotte dal Messico nel 1803. Poi la moda delle camelie, con l’intensificarsi dei contatti con l’Oriente (del 1848, di Dumas figlio, La signora delle camelie). In parallelo con l’espansione di serre, piante in vaso e un mercato botanico di massa, anche il Novecento avrà poi le sue infatuazioni. Il lupino degli anni sessanta e, nei Novanta, le infiorescenze sferiche degli agli ornamentali. Fino alla produzione in scala industriale – con l’orchidea falena, la Phalaenopsis, che condivide le condizioni di vita delle nostre abitazioni – di una pianta un tempo riservata a pochi ricchi e, a fine secolo, con l’affermazione di rudbeckie e echinacee, nel quadro di una nuova attenzione ecologica anche in giardino. Nuove estetiche, etiche, e mode. Certo, tutto è relativo: l’oleandro giunse nel Cinquecento in Inghilterra e, per il suo esser sempreverde, accolto nelle dimore più benestanti, pianta esotica per i giardini d’inverno.