Cos’è che ci rende umani? Se c’è una persona che ha studiato con gli strumenti scientifici più avanzati l’annosa questione che ossessiona la nostra specie dall’alba dei tempi, questa è il nuovo Premio Nobel per la Medicina Svante Pääbo. Il Comitato del Karolinska Institutet ieri si è preso per una volta la soddisfazione di premiare un connazionale svedese per il più famoso dei riconoscimenti, aprendo così la settimana dei Nobel.

Pääbo è da sempre ossessionato dall’antichità, ma il suo successo scientifico è arrivato quando è stato capace di aprire un nuovo filone di ricerca chiamato paleogenetica, e di trovare la maniera studiare i nostri lontani parenti umani dal punto di vista genetico, un’impresa scientifica che prima di lui sembrava irraggiungibile. Il materiale genetico, infatti, tende a degradarsi con il passare del tempo e il Dna di migliaia di anni fa è molto difficile non solo da ricostruire, ma anche e soprattutto da distinguere da quello attuale, che facilmente potrebbe contaminarlo.

Il sessantacinquenne Pääbo, che già negli anni 80 aveva segretamente tentato di analizzare (invano) il Dna di una mummia, lavora da 40 anni cercando di trovare la maniera di studiare il Dna delle specie di ominidi estinte. Tradizionalmente, la paleontologia si è sempre concentrata sullo studio della forma delle ossa, ma grazie al nuovo premio Nobel oggi è possibile studiare nel dettaglio dove e quanto il Dna di un Neanderthal si distingue da quello di un Sapiens, la specie degli esseri umani moderni.

Non solo: è grazie ai lavori di Pääbo, che aveva iniziato 25 anni fa analizzando minuscoli frammenti di Dna mitocondriale (quello che invece di trovarsi nel nucleo della cellula è all’interno dei mitocondri e che viene ereditato dal lato materno) proveniente da un osso conservato nel Rheinisches Museum della città di Bonn, che la nostra visione dei nostri antenati più prossimi è cambiata radicalmente. Non soltanto per migliaia di anni le due specie sono convissute, ma – e questo è stato per molto tempo duro da accettare – hanno fatto sesso tra di loro. Una piccola percentuale del Dna dei Neanderthal si può ritrovare infatti all’interno del genoma degli esseri umani moderni. Straordinario: era la dimostrazione che fosse possibile studiare il genoma di un essere vivente morto più di 40mila anni fa.

Nel 2010 Pääbo ha indicato una nuova specie di ominidi, per la prima volta scoperta non grazie a significativi ritrovamenti ossei e informazioni morfologiche, ma esclusivamente grazie all’analisi del Dna. Si tratta dei Denisoviani (dal nome di una caverna in Russia dove venne ritrovato un frammento di osso di un dito), una specie di ominidi che pure vivevano sulla terra, soprattutto in Oriente e Asia, assieme ai Sapiens (che provenivano dall’Africa) e ai Neanderthal (che vivevano soprattutto in Europa).

Nella sua leggibilissima autobiografia pubblicata nel 2014, Svante Pääbo racconta tutti i passi che lo avevano portato a queste dirompenti scoperte. E tra l’altro, esempio raro fra gli scienziati, dichiara apertamente la propria bisessualità e la sua storia con la compagna di un collaboratore (con la quale ha una figlia che entrambi allevano a Lipsia). Non solo: racconta di essere il figlio segreto del biochimico svedese (e Nobel nel 1982) Sune Bergström, il quale aveva avuto una relazione extraconiugale con sua madre, la chimica estone Karin Pääbo.

La tecnica che permette di sequenziare genomi così antichi è diventata talmente raffinata che Pääbo assieme ai suoi collaboratori nel 2018 è riuscito a dimostrare che i resti di 28 ominidi estratti dalla Sima de los Huesos ad Atapuerca (in Spagna) erano geneticamente assai più affini ai Neanderthal che ai Denisoviani.

Tracce di genoma dei nostri cugini evolutivi sono presenti negli esseri umani attuali, soprattutto in alcune popolazioni. Genoma dei neanderthaliani è presente in moltissime regioni del nostro Dna, e per esempio un gene che deriva dal Dna denisoviano è quello che conferisce la resistenza alle altezze dei tibetani.

Quello che gli scienziati ancora non sono in grado di spiegare è perché due specie così ben adattate ai loro ambienti come i Neanderthal i Denisoviani si sono estinte dopo essere entrate in contatto con i Sapiens, o se sono stati questi ultimi a essere la causa della loro estinzione. Perché la loro espansione – venivano da zone geograficamente e climaticamente molto diverse – ha avuto tanto successo evolutivo? A questo mistero gli scienziati stanno ancora cercando dare una risposta.