Il premio Nobel per la fisica del 2022 è stato assegnato ieri al francese Alain Aspect, allo statunitense John Clauser e all’austriaco Anton Zeilinger. Il riconoscimento premia i loro esperimenti sull’entanglement quantistico, uno dei fenomeni più affascinanti della fisica moderna. «Entanglement» significa «intreccio» o più semplicemente «legame». Si riferisce alla possibilità che due o più particelle, anche a distanze siderali tra loro, si influenzino a vicenda. Come se fossero in grado di scambiarsi segnali a velocità superiori a quelle della luce, un’ipotesi esclusa dalla teoria della relatività e dunque potenzialmente rivoluzionaria. Dato che la spiegazione fisica è sottile, conviene immaginare due calzini uguali ma spaiati: chi ne indossasse uno sul piede destro trasformerebbe istantaneamente l’altro, anche a chilometri di distanza, nel calzino sinistro. L’analogia è irriverente e approssimativa – quelle dei calzini non sono proprietà fisiche e nulla impedisce di portarne due sullo stesso piede – ma forse aiuta a afferrare l’idea.

L’ENTANGLEMENT è una delle tante bizzarrie previste dalla meccanica quantistica, secondo cui il comportamento delle particelle elementari sulla scala più piccola è intrinsecamente casuale. Molti decenni prima di diventare un problema di laboratorio, il fenomeno fu oggetto di un esperimento mentale ideato da Albert Einstein per mettere in discussione l’odiata teoria quantistica.
Nel 1935, Einstein e i più giovani colleghi Podolsky e Rosen (il trio fu ribattezzato EPR) si accorsero che i principi della nuova fisica conducevano al paradosso di una «spettrale azione a distanza» – la definizione è di Einstein – tra due particelle. Un’evidente assurdità secondo il fisico tedesco, che aveva già dimostrato l’impossibilità che un segnale, come la forza esercitata da una particella sull’altra, viaggi più veloce della luce. D’altra parte, se ciò che avviene sulla Terra fosse influenzato da quanto accade nello stesso momento da un’altra parte dell’universo dovremmo profondamente rivedere la nozione di causa ed effetto su cui facciamo conto quotidianamente e rivalutare gli oroscopi. Einstein sperò così di avere la meglio sul danese e amico Niels Bohr, altro gigante della scienza di inizio secolo che, al contrario del tedesco, aveva aderito senza esitazioni alla teoria dei quanti fondata sul caso e che per questo duellò (scientificamente) per molti anni con lui.
Per qualche decennio, solo un pugno di fisici si dedicò al paradosso EPR, ritenuto poco più che una stramberia filosofica «di cui discutere durante la pausa caffè o nei dipartimenti di filosofia della scienza» come ha scritto sarcasticamente la giuria del Nobel. Il resto della comunità scientifica invece sposò entusiasticamente la teoria quantistica che in laboratorio riceveva conferme su conferme. Ma negli anni ‘60 il fisico irlandese John Bell ideò un test in grado di scoprire se Einstein avesse davvero ragione.

NEI DECENNI SUCCESSIVI, Clauser e Aspect (con l’importante contributo dell’italiano Francesco De Martini) perfezionarono l’idea di Bell e realizzarono una serie di esperimenti sempre più accurati che diedero irrimediabilmente torto al vecchio Albert. Generando fotoni «entangled», i due fisici mostrarono che il risultato di una misura effettuata su una delle due particelle si rifletteva istantaneamente sull’altra come nei calzini spaiati. In anni più recenti, il terzo premiato Zeilinger ha spinto al limite questi esperimenti, riuscendo a osservare l’entanglement in coppie di particelle separate da migliaia di chilometri.
Dato che il risultato delle misure «intrecciate» rimane casuale, tuttavia, il fenomeno non può essere usato per trasferire informazione a velocità superiore a quella della luce. L’accordo tra la relatività di Einstein e la teoria quantistica è salvo.
Da stravaganza teorica, negli ultimi anni l’entanglement è diventato una fonte di numerose applicazioni scientifiche e tecnologiche. Viene invocato, ad esempio, per spiegare la somiglianza tra regioni dell’universo così lontane da non aver mai interagito. Inoltre, interessa moltissimo gli informatici in campo civile e militare perché permette di sviluppare sistemi di crittografia a prova di spia e computer quantistici immensamente più veloci di quelli odierni e già allo stadio di prototipo.

NON È RARO, INFINE, imbattersi in ricerche sul teletrasporto, cioè la clonazione di una particella in un luogo distante (distruggendo però l’originale) come avveniva sull’Enterprise di «Star Trek», altra applicazione dell’entanglement. Dopo anni di esperimenti, la «spettrale azione a distanza» non ha smesso tuttavia di scuotere la scienza nei suoi fondamenti. Molti fisici guardano all’entanglement come a una fessura attraverso cui spiare la fisica di domani e che aiuterà a ridefinire la nostra concezione dello spazio e del tempo.

Aggiornamento: “spettrale azione a distanza” è un’espressione del solo Einstein e non di Podolsky e Rosen come inizialmente riportato nell’articolo.