«No New War on Siria». Da Washington a Los Angeles a San Francisco, cresce negli Stati uniti l’opposizione alla guerra. La parte più consapevole di quell’80% dell’opinione pubblica contraria all’intervento armato in Siria ha deciso di mobilitarsi: per «convincere il Congresso Usa» che esiste anche un altro paese. In prima fila la rete Answer, che sta organizzando proteste in diverse città nordamericane e che invita a recarsi sabato prossimo alle 12 davanti alla Casa Bianca. «I maggiori responsabili della violenza nel mondo sono anche quelli che si presentano come i più grandi difensori dei diritti umani – scrive Brian Becker, coordinatore nazionale di Answer – Obama, che non dice una parola sulle conseguenze reali di un attacco, promette implicitamente che solo i siriani verseranno il sangue in questa nuova ’guerra’ (…)». Che interesse avrebbe avuto il governo siriano a far uso di armi chimiche – si chiede Becker – sapendo che avrebbe scatenato l’intervento esterno, e tantopiù mentre stava vincendo la guerra interna? La verità – continua Answer – è che «ogni attacco imperialista volto a ottenere un cambio di regime a lui gradito ha bisogno di un pretesto e di una giustificazione pubblica. Occorre una causa nobile per mascherare i veri obiettivi: rapinare le risorse, in Medio oriente, in Africa o in Asia».
Dello stesso tenore anche il messaggio inviato dal filosofo statunitense Noam Chomsky al Huffington Post: «Via via che l’appoggio internazionale alla decisione di Obama di attaccare la Siria è venuto meno, insieme alla credibilità di quanto affermato dal governo, si è ricorso a un tipico pretesto per giustificare i crimini di guerra: la credibilità delle minacce di chi si è autonominato il gendarme del mondo». Chomsky si era già espresso contro il dilagare dello spionaggio illegale, rivelato dall’ex consulente Cia Edward Snowden, e di cui anch’egli è risultato vittima, denunciando l’assenza di potere decisionale da parte di «quel 75% che non possiede molte risorse». La talpa del Datagate ha ottenuto asilo temporaneo in Russia a patto di allontanarsi dai riflettori, ma la montagna di informazioni che ha diffuso ai media internazionali continuano a far discutere, illustrano i termini dei conflitti attuali, tra geopolitica, guerre economiche senza quartiere e violazioni del diritto internazionale. Il dibattito sullo strapotere delle agenzie di sorveglianza come la Nsa ha probabilmente influito sull’opinione pubblica. Il sito Wikileaks ha presentato una denuncia penale di 186 pagine contro la Svezia in occasione della visita di Obama in quel paese: chiede la restituzione di documenti confiscati illegalmente il 27 settembre 2010 quando il portale pubblicò le rivelazioni del soldato Bradley Manning. Files relativi a crimini di guerra commessi dagli Usa in Afghanistan: in particolare sul «massacro Granai», del maggio 2009, in cui persero la vita un centinaio di civili, donne e bambini.
Sabato prossimo, i manifestanti si ritroveranno anche a San Francisco, all’Embarcadero Plaza, ribattezzata Chelsea Manning, in onore all’ex soldato Usa: che è stato condannato a 35 anni per aver portato alla luce il Cablogate e, dopo la sentenza, ha dichiarato di sentirsi donna e di chiamarsi Chelsea. Anche Julian Assange, il cofondatore di Wikileaks che ha superato i 1000 giorni di permanenza nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra è tornato a esprimersi contro la guerra in Siria e contro l’attacco a quei media che non accettano il bavaglio della legge antiterrorismo, sempre più soffocante.
Anche molti veterani dell’Iraq o del Vietnam chiedono al Congresso Usa: «Per favore, votate contro l’attacco alla Siria». Le loro voci sono rimbalzate in twitter, sui cartelli dei manifestanti o fra le note del banjo di quella veterana della guerra in Iraq, rudemente cacciata da un parco di Filadelfia perché cantava versi contro l’intervento militare, poco graditi alla polizia. E mentre la prima cellula di ribelli allenati dalla Cia sembra diretto a Damasco dalla Giordania, esponenti della parte più sincera dell’opposizione siriana, come al Manna (che risiede a Parigi, da noi intervistato il 1 marzo 2012) si sono espressi contro l’intervento esterno nel suo paese.
Il 7 si svolgeranno anche le veglie di preghiera sollecitate dal papa contro la guerra. Il suo appello è stato accolto con entusiasmo da alcuni presidenti dell’America latina, come Correa in Ecuador o Maduro in Venezuela. Questa settimana, i ministri degli Esteri dei paesi dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) terranno una riunione straordinaria «contro le minacce interventiste». E il presidente della Bolivia, Evo Morales è già in viaggio verso Roma. Venerdì sarà ricevuto in Vaticano.