Come sceneggiatore e come regista, Noah Baumbach ha raccontato la precarietà lavorativa, le amicizie, la vita di coppia, le dinamiche famigliari, il divorzio con la sensibilità di chi sa osservare e ascoltare la vita attorno a sé. Marriage story narra la fine di un matrimonio e conferma la capacità di Baumbach nel conciliare il brio della sophisticated comedy con un particolare realismo delle emozioni. A Venezia, dove il regista è giunto con Scarlett Johansson, Laura Dern e Adam Driver, ha raccontato di aver attinto dalla propria esperienza personale per scrivere e dirigere quella che lui ha definito: «Una commedia romantica al contrario. Da figlio di divorziati e da divorziato io stesso, sapevo di cosa stavo parlando ma sapevo anche che il tema tocca talmente tante persone che ho cercato di raccogliere e tenere conto di voci diverse. Dunque ho chiesto agli attori, in quanto amici e collaboratori, di parlarmi non solo di divorzi ma anche delle loro relazioni passate. Poi ho interpellato avvocati, mediatori, assistenti sociali, giudici e ne ho discusso con il cast, per nutrire i loro personaggi».

TUTTO QUESTO materiale ha fatto sì che il film si arricchisse aggiungendo elementi di legal drama, di musical, di screwball comedy a cui, secondo lo stesso Baumbach: «Si aggiunge anche un po’ di thriller». Dopo Il calamaro e la balena (2005), che metteva in scena un divorzio includendo la prospettiva dei figli adolescenti, il film torna a confrontarsi con il tema dei diversi punti di vista e di come questi influenzano le narrazioni che ciascuno elabora su esperienze condivise.
Marriage story è infatti una sorta di Rashomon di un divorzio ma qui, oltre al potere delle narrazioni, sono in gioco anche le narrazioni del potere, in particolare quelle elaborate dal sistema legale che impone alle parti in causa un modo di vedere e di raccontare la storia del loro matrimonio. Queste narrazioni imposte sconfessano il bello e il buono che c’è stato tra due persone con l’obiettivo di negoziare una sentenza vantaggiosa. Abbiamo dunque chiesto a Baumbach che possibilità hanno i personaggi del suo film di controbilanciare questi discorsi che parlano al posto loro. E lui ci ha risposto che: «Nicole (Scarlett Jahansson) è un personaggio di donna che cerca di trovare la propria voce e si scontra con un sistema legale che gliela sottrae. Le scene in tribunale sono come una conversazione tra due personaggi a cui però non viene dato modo di esprimersi. Penso che in molti ambiti, non solo nel divorzio, le persone vengano manipolate in modo da instillare odio in loro; io invece trovo molto romantico che due persone, pur decise a divorziare, scelgano non di allontanarsi ma di trovare un compromesso per il bene del loro bambino. Parte dello sforzo che compiono i personaggi di questo film consiste nel tentare di conservare la propria umanità o riconquistarla quando viene meno. In un certo senso è un film sul trionfo della capacità di restare umani in condizioni difficili, la loro resistenza sta nei gesti umani che compiono l’una verso l’altro».