«Verso il referendum No Triv». Il titolo della giornata di domani a Roma – dalle nove del mattino al parco delle energie, in via Prenestina 173 – è già di buon augurio. Mancano infatti ancora un paio di passaggi formali prima che possa esserci la certezza che l’anno prossimo, in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 maggio, i cittadini italiani saranno chiamati a decidere sulla libertà di trivellazione introdotta dal governo Monti nel 2012 e poi rilanciata dal governo Renzi.
A chiedere di cancellare parti del decreto legge cosiddetto «sviluppo» e del più recente «sblocca Italia» del settembre 2014 sono state dieci regioni italiane, con una sequenza senza precedenti di deliberazioni da parte dei consigli regionali. La Cassazione si pronuncerà definitivamente entro la fine di questo mese, l’ultimo via libera può arrivare tra fine gennaio e inizio febbraio da parte della Corte costituzionale. «Ma i sei quesiti devono diventare i referendum di tutti», dice chi li ha scritti, Enzo Di Salvatore del comitato nazionale No Triv, «di tutte le regioni, dei cittadini e delle grandi associazioni che parteciperanno all’assemblea di domani», Greenpeace, Legambiente e Italia Nostra. Da costruire il rapporto con il sindacato e con i partiti; un rappresentante del comitato interverrà oggi alla presentazione dei gruppi di Sinistra italiana.

Non sono molti i precedenti di referendum richiesti dalle regioni, da quando la legge del 1970 ha attuato l’articolo 75 della Costituzione, e l’unico fortunato è quello del 1993 per l’abrogazione dei ministeri dell’agricoltura, turismo e partecipazioni statali – ma il successo è stato oscurato dalla vittoria del referendum elettorale nonché tradito dalle leggi successive. Anche allora a chiedere il referendum erano state dieci regioni, quasi tutte del Nord (le dieci di oggi sono invece in prevalenza meridionali). Prima e dopo di allora le richieste di referendum da parte delle regioni sono stati fermate dalla Corte costituzionale (legge sull’invalidità nel 1990, riordino dei tribunali nel 2013 e di nuovo a gennaio di quest’anno) oppure i quesiti sono stati in parte fermati dalla Consulta e poi bocciati dagli elettori (i referendum «federalisti» proposti dalle regioni di centrodestra nel ’96).
L’assemblea di domani servirà a ragionare su una campagna nazionale – per coinvolgere le regioni che non hanno fatto in tempo a votare la richiesta di referendum o non hanno raggiunto la maggioranza assoluta si pensa a mozioni ad hoc -, c’è bisogno di uno slogan e di un simbolo unico. Soprattutto il comitato No Triv, il cui lavoro politico nelle regioni è alla base di tutte le richieste di referendum dei consigli regionali, deve trovare il modo di essere ufficialmente rappresentato nella campagna elettorale. Per la legge che regola l’accesso agli spazi televisivi e ai rimborsi elettorali, infatti, promotori formali sono adesso i dieci delegati individuati dai consigli regionali.