«La redazione del Piano delle aree per regolamentare le attività oil&gas procede a passo di lumaca…». Così il Coordinamento nazionale No Triv, che ha inviato una lettera ai ministri dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e dell’Ambiente, Sergio Costa, sollecitando una convocazione urgente, necessaria a fare il punto sul Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai). Occorre accelerare e serve un tavolo di confronto.

Il Piano delle aree per le attività legate agli idrocarburi, previsto dalla Legge dell’11 febbraio 2019, con l’obiettivo di approvazione entro 18 mesi, in realtà è in alto mare. Esso è lo strumento normativo che individua le zone adatte ad ospitare impianti estrattivi e di prospezione e ricerca e a scongiurare che possano subire l’assalto delle trivelle i posti più suggestivi e fragili dello Stivale. Bisogna far presto, secondo i No Triv, preoccupati soprattutto per quanto sta accadendo in Sicilia, dove la Regione – denunciano – «sta andando per conto proprio, come se fosse Stato a sé – afferma Enrico Gagliano, dei No Triv -. Sta bucando tutto quello che può». Sta autorizzando «concessioni e istanze. Da citare il permesso “Case la Rocca” del 28 febbraio scorso. La situazione è allarmante». Con i sindaci in rivolta. Poi c’è l’altra questione, quella della dismissione delle piattaforme, che procede anch’essa lentamente. Il 30 agosto – segnala il Coordinamento – è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi, con due mesi di ritardo, l’elenco delle prime tre piattaforme in smantellamento e il sospetto – scrive – è che, alla fine della giostra, il monte piattaforme da eliminare/riconvertire si limiti al numero di trentaquattro. E siccome i numeri non sono un’opinione, a noi pare che qualcosa non torni».

Secondo i No Triv «gran parte del parco installato è giunto o sta giungendo a fine corsa e, quindi, dovrebbero essere molte di più le piattaforme da smembrare o trasformare in altro. In questa maniera – sottolinea – vengono meno le esigenze di tutela ambientale e si risponde solo ed unicamente a quelle delle compagnie, che non gradiscono di dover sostenere gli oneri economici che queste operazioni comportano, ossia da 15 ai 30 milioni di dollari per ciascuna piattaforma da eliminare, secondo le stime del Roca Oil di Ravenna».

Il Piano delle aree, quindi, dovrà indicare anche tempi e modi di dismissione e rimessa in pristino dei luoghi, ma la transizione al governo Conte-bis «ha aggiunto ritardo a ritardo» e per di più rischia di lasciar fuori dal dibattito Regioni, Province ed enti locali. Ed ecco scendere in campo l’Associazione nazionale dei Comuni virtuosi, che ha chiesto al Mise di poter partecipare al tavolo che dovrà stilare il Piano. «Di cui – spiega Bengasi Battisti, del direttivo nazionale Comuni virtuosi – si è cominciato a parlare dal 2014 e 2015. In particolare, da quando sono esplose aspre reazioni nei confronti dello Sblocca Italia, il decreto che conteneva l’abrogazione del divieto di attività estrattive nel Golfo di Napoli, nel Golfo di Salerno e nelle Isole Egadi. A distanza di quattro anni e a seguito di ripensamenti, di ricorsi e delle proteste innescate dal rilascio di tre permessi di ricerca nel Mar Jonio, su iniziativa del Governo è stato inserito nel Decreto Semplificazioni l’adozione del Piano, la cui approvazione è prevista per il 13 agosto 2020. Occorre però – si fa presente – la partecipazione, alla sua stesura, di Regioni e Comuni, essendo portatori di esperienze e conoscenze e quindi in grado di restituire una descrizione esatta dei territori. E soprattutto di evidenziare bisogni, ricchezze e criticità».