«Il passaggio in Parlamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non ne modificherà l’impostazione, né i suoi numeri da capogiro: quale forza politica oserà mettere in discussione un Piano di investimenti da 221,5 miliardi di euro?». Esordisce così il Coordinamento nazionale No Triv criticando le scelte del governo sul Recovery Plan. «Non è sufficiente – affermano in una lunga e dettagliata nota gli ambientalisti – citare le parole chiave ’transizione’ 170 volte, ’sostenibilità’ 154 e ’ambiente’ 101 per fare del Piano lo strumento principe della transizione ’utile’, la sola in grado di consentire di centrare gli obiettivi che ci siamo dati, in sede Ue, al 2030 e al 2050».

Secondo il movimento No Triv, il documento «racchiude in sé tutto quanto non è stato realizzato negli ultimi 30» e dunque potrebbe essere definito «un libro dei sogni». In realtà sarebbe «un Piano privo di ambizione per un Paese che rischia di perdere definitivamente l’opportunità storica di ricostruirsi e reinventarsi dopo la pandemia». Insomma, il rischio è quello di perdere «un’occasione straordinaria per accelerare la transizione ecologica» perché quella che viene tratteggiata «è troppo lenta e segue traiettorie pasticciate e patteggiate, confacenti all’ideologia ed agli interessi dell’oil&gas».

In particolare, i No Triv segnalano alcuni passaggi della Missione 2, ossia «Rivoluzione verde e transizione ecologica», sottolineando che i numeri del Piano appaiono poco convincenti. Ad esempio l’aumento di energia rinnovabile proposto di 4,2 gigawatt «non ci consente di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo Ue del 32% del consumo elettrico da fonti rinnovabili». Mancherebbe poi una strategia di uscita dalle fonti fossili al 2050, «di fatto nascosta nello sgabuzzino di ambigui strumenti normativi precedenti e della roulette russa del Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) ancora da approvare».

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, spiegano ancora gli ambientalisti No Triv, non destina nemmeno un euro ai pompaggi nelle dighe «di cui il nostro Paese è ricco. Sono stati completamente ignorati: nessun cenno alla loro funzione di stoccaggio dell’energia e di riempimento dei ’buchi’ che si vengono a creare nella rete a causa dell’intermittenza delle rinnovabili. È una scelta miope e grave che può avere una motivazione soltanto: favorire le centrali turbogas ed i sussidi di cui godono (capacity market)».

E invece « un’eccessiva enfasi è posta sull’idrogeno, a cui sono destinati 3,19 miliardi di euro – molto di più di 1,78 miliardi di euro proposti per finanziare gli interventi per le aree del terremoto del 2009 e del 2016». Una scelta che «ben si sposa con l’approccio Ccs (Cattura del carbonio e stoccaggio), molto gradito a Eni e Snam». E la finestra temporale per giungere all’impiego dell’idrogeno verde nei settori petrolifero, chimico, siderurgico, ecc.,«è talmente ampia da consentire la transizione attraverso la produzione di forme tutt’altro che rinnovabili, come l’idrogeno grigio e poi quello blu, nelle numerose valli dell’idrogeno che sorgeranno in tutta Italia: Porto Marghera, Ravenna, Gela, Melfi, ecc… Si tratta di un artificio costoso ed insostenibile, per prolungare il ciclo di vita dei giacimenti di gas ’tricolori’».

La parola clima nel Pnrr è citata 77 volte, «quasi a voler ricordare – conclude il Coordinamento No Triv – che il contrasto alla crisi climatica in atto ha rappresentato dall’inizio la preoccupazione centrale nella strutturazione del Piano: così non è».