Il dilemma lo ha risolto lei stessa in un video diffuso dal movimento No Tav. «Sono stata colpita da un lacrimogeno», dice, da un letto di ospedale, Giovanna Saraceno, l’attivista ferita al volto e ricoverata dal 18 aprile alle Molinette di Torino con trauma cranico, due emorragie cerebrali e fratture multiple al volto. Un fatto, quello del ferimento a causa di un lacrimogeno, negato dalle forze dell’ordine, che hanno sostenuto come sia «impossibile» che le ferite riportate siano state provocate dal getto di un candelotto. L’accusa del movimento è che, invece, i lacrimogeni a base di Cs siano stati lanciati volutamente ad altezza uomo, contrariamente a quello che vorrebbero le regole d’ingaggio.

Pisana, da sempre parte del movimento contro l’alta velocità, l’attivista ha precisato: «Mi ritrovo in ospedale dopo essere stata in Valle per portare la mia solidarietà, la mia voce e la mia vicinanza alle persone che resistevano sul tetto del presidio di San Didero, perché lotto contro il Tav, opera inutile e dannosa».

Le dichiarazioni di Giovanna Saraceno, le cui condizioni sono in miglioramento (ieri è stata sottoposta a un intervento maxillo facciale), sono state rilanciate dal movimento: «Questo video arriva per fare chiarezza, una volta per tutte – scrive notav.info – visto che è stato addirittura messo in dubbio da che cosa è stata colpita. È da tempo che denunciamo l’uso dei lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine, che vengono intesi come un ‘tiro al No Tav’ del quale persino vantarsi».

La mobilitazione contro l’autoporto di San Didero, intanto, continua. Il movimento vi si oppone perché comporterebbe un nuovo enorme consumo di suolo (68mila metri quadrati) e sorgerebbe in una delle poche aree boschive della bassa valle. Movimenterebbe, inoltre, terreni fortemente inquinati per via delle emissioni delle acciaierie che lo circondano: «Vorrebbe dire immettere nuovamente questi composti nell’aria con le ovvie conseguenze per la salute di chi abita in quei dintorni». Un autoporto in Valle esiste già ed è quello di Susa, che dovrebbe però essere spostato proprio per fare spazio alla stazione internazionale del Tav. Considerata una futura «cattedrale nel deserto» dai No Tav.