«Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione». Lo scrivono i familiari dei No Tav Claudio Alberto, Mattia Zanotti, Chiara Zenobi e Niccolò Blasi, arrestati il 9 dicembre scorso con l’accusa di terrorismo e tuttora detenuti in carcere, in regime di massima sicurezza, che «comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese, lettere controllate». La Procura di Torino li considera i responsabili dell’attacco al cantiere dell’alta velocità di Chiomonte, nella notte fra il 13 e il 14 maggio 2013. «In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché ’in quel contesto’ e con le loro azioni presunte ’avrebbero potuto’ creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine». Poi, precisano: «L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri».

I siti valsusini stanno diffondendo l’appello dei familiari: «Quale popolazione sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese? Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. È un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi – sottolineano i familiari -, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine».

I quattro No Tav sono stati trasferiti in diversi carceri di Alta sorveglianza, lontani dalla loro città. «Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono ’pericolosi’ grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti». Chiara Zenobi è stata trasferita dalle Vallette di Torino (città dov’è residente) alla casa circondariale di Rebibbia, Roma. Prima del trasferimento, in una lettera, scriveva: «Io, in questa gabbia ho i polmoni pieni della libertà che ho imparato ad amare lottando, tra i sentieri e per le vie».