«L’Italia sta sbagliando strada. Per uscire dal carbone, il nostro Paese non ha bisogno né di nuove centrali a gas fossile né del nucleare, ma di accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili» spiega un appello sottoscritto da 44 sigle tra associazioni, comitati e movimenti. Lo hanno indirizzato al governo, annunciando una grande mobilitazione, oggi in oltre 20 città.

Manifestazioni che saranno come fari puntati su quei luoghi che dove aver pagato dazio per decenni al carbone e in generale ai combustibili fossili, oggi si immagina una conversione di grandi centrali termoelettriche al gas, presentato come «il combustibile della transizione ecologica». Le piazze di Civitavecchia, Ravenna, a La Spezia, Napoli, Presenzano (in provincia di Caserta), Falconara (Ancona), Fusina (Venezia), Brindisi, Potenza, Pescara, Portoscuso/Portovesme (in Sardegna), solo per citarne alcune, saranno unite nel messaggio all’esecutivo: «A tutto gas. Ma nella direzione sbagliata. Contro le bufale fossili e nucleari», alimentate anche dalla Commissione europea nella revisione della tassonomia verde votata a inizio febbraio.

In un Manifesto spiegano motivazioni e proposte al governo Draghi, tra cui quella di esprimere in sede Ue e in particolare nel Parlamento Europeo una netta contrarietà all’introduzione di gas e nucleare tra le fonti verdi. «Il cambiamento climatico continua la sua inarrestabile corsa e il limite di 1,5°C è sempre più vicino. Continuando con le attuali politiche globali si avrà un aumento delle temperature fino a circa 2,7°C, di molto oltre gli obiettivi fissati negli Accordi di Parigi. Non possiamo perdere altro tempo. In questo contesto il ministero della Transizione ecologica, secondo Il Sole 24 Ore, sta valutando interventi legati a circa 50 centrali a gas fossile per 20.000 MW di nuova potenza distribuita, parte di un piano da 30 miliardi di euro fatto di più di 115 interventi infrastrutturali del gas fossile. Oltre a rispolverare pericolose e velleitarie ricette come il nucleare».

A fronte alla strategia dell’esecutivo, c’è un «ma» macroscopico: il gas fossile che viene descritto come l’unica opzione praticabile per affrontare il cambiamento climatico in realtà è una risorsa altamente climalterante. In più, l’Italia importa il 94% del gas naturale che utilizza e ciò porta ad un’eccessiva dipendenza dal contesto internazionale e una conseguente vulnerabilità, che stiamo (già) pagando a caro prezzo nelle nostre bollette. Ecco perché l’Italia dovrebbe investire nelle rinnovabili, non affossarle. «Pretendiamo che il governo faccia la sua parte nel contrastare la crisi climatica definendo immediatamente un piano di uscita dal gas fossile. Occorre accelerare lo sviluppo e la diffusione delle fonti pulite, a partire da solare ed eolico, efficientamento energetico, accumuli e innovazione. È inoltre importante che si proceda al più presto alla semplificazione della normativa per rendere possibile ogni anno l’installazione in Italia di oltre 8 GW di nuova potenza da fonti rinnovabili».

I firmatari dell’appello vanno da Greenpeace a Wwf Italia a Legambiente, passando per i giovani di Fridays For Future, A-Sud gli studenti della Rete della Conoscenza (Unione degli Studenti e Link) e quelli della Rete degli Studenti, e tanti comitati protagonisti di importanti vertenze territoriali (Associazione Comitato di Rione “Enel” Monfalcone, Mamme per la Salute e l’Ambiente Odv di Venafro, No al Fossile Civitavecchia).

Secondo le 44 sigle, l’Italia può e deve fare ancora molto nella lotta alla crisi climatica, a partire dalla costruzione di un piano per una reale transizione ecologica da qui al 2050 «definendo chiaramente tappe, obiettivi, strumenti e mezzi e considerando, da subito, il gas fossile come fonte energetica residuale, stabilendo l’obiettivo di uscita definitiva al 2040 e escludendo false soluzioni come il Ccs e il nucleare, già bocciato dagli italiani con due referendum, e nuove autorizzazioni per estrazioni, stoccaggio, gasdotti e centrali legati al gas». Chiedono anche di eliminare, entro il 2025, i sussidi alle fonti fossili. Un piano di buonsenso, capace di guardare a quelle generazioni future che oggi anche l’articolo 9 della Costituzione chiede di tutelare.