Il quotidiano Le Monde ha pubblicato pochi giorni fa una ricerca secondo la quale fra il 1989 ed il 2016 sul pianeta è scomparsa il 75% della biomassa degli insetti pronubi nel pianeta .

Responsabili sono in primis i pesticidi sistemici denunciati dagli anni settanta, ma mai messi in discussione. Francesca Astorri, una giovane apicoltrice dell’Appennino bolognese, ha perso un mese fa quattordici alveari, a pochi passi da dove abito. La causa: un trattamento chimico effettuato su un campo di mais coltivato nelle vicinanze con un pesticida molto comune. Consigliato e venduto nel consorzio agrario dietro l’angolo. È più facile che un cammello passi per la cruna di … che un qualche componente di una qualunque filiera lucrosa e «realista» rinunci al suo concreto affare commerciale, piccolo o grande che sia, pur consapevole dei danni che reca all’ambiente ed alle persone.

suoi sostenitori negazionisti scientifici si ritira dagli accordi di Parigi (senza rimproveri e conseguenze) e cancella qualunque investimento a favore del clima e dell’ambiente, Bolsonaro promuove, a discapito della foresta amazzonica, nuove culture di soia e mais destinati agli allevamenti intensivi europei e americani , Macron continua a sviluppare le devastanti attività estrattive nelle «sue» ex colonie francesi.

NON ESISTE ALCUNA POLITICA EUROPEA che davvero promuova sul piano industriale, agricolo, energetico un vero cambio di passo. C’è spazio per l’estetica e non per la sostanza, per il marketing e non per l’impegno, per la convegnistica patinata e non per solide modifiche strutturali che promuovano ambiente e qualità della vita. Ed è ormai chiaro a tutti, Alex Langer lo scriveva nel 1998, che chi uccide l’ambiente uccide il sociale, uccide la società a partire da quella più indifesa.

C’E’ INOLTRE IL FENOMENO dello spaesamento che confonde impaurisce e limita più della crisi. Non abbiamo mai avuto cibo tanto controllato, certificato, garantito, e narrato e allo stesso tempo proveniente da una condizione bracciantile e lavorativa peggio che medievale. Sconvolge il numero di indagini e denunce quantitative e qualitative portate avanti da singoli ricercatori e giornalisti come Marco Omizzolo, Stefania Prandi, Francesco Carchedi, Enzo Ciconte, Leonardo Palmisano , Flai Cgil ed altri ancora. In Italia sono centinaia di migliaia i lavoratori italiani e immigrati, più di un milione nel sud Europa, che lavorano in condizioni di totale illegalità, retribuiti a meno della metà dei contratti minimi agricoli. Nel caso dei lavoratori extracomunitari che vivono in baraccopoli, alle condizioni abitative al limite di qualunque limite, si aggiungono l’assenza di diritti che spesso sconfina in violenza, vessazione e ricatto sessuale.

E’ IL CASO DEGLI IMMIGRATI di tutta l’Africa ma anche della Romania e della Moldavia che si spostano da raccolto a raccolto per tutto il paese, in una sorta di randagismo stagionale. Gli immigrati del Punjab nell’agro pontino, le donne del Marocco per la raccolta delle fragole in Spagna sottoposte ad ogni tipo di violenza. All’estrema difficoltà di raccogliere dati e denunce, c’è chi invece non si tira indietro, non passa oltre con lo sguardo e decide di conoscere e indagare il fenomeno per contrastarlo.
SI DA’ ENFASI AI PRODOTTI CHIAMATI suadentemente mediterranei, coltivati nelle fertili terre del delta del Nilo o in Marocco,Tunisia e Algeria. Ma a quali condizioni di lavoro? Le poche informazioni che abbiamo denunciano situazioni arretratissime in termini di diritti e condizioni. La retribuzione è di 1 euro l’ora nella sponda sud del Mediterraneo, di 2/3 euro in quella nord. Senza contributi, assistenza, assicurazione, tfr ovvero in assenza di quell’articolato sistema di welfare che in Europa è sistema sociale e civile . E risultato di generazioni di lotte emancipative che demarcano la differenza fra sussistenza e dignità, dipendenza e schiavitù da una parte e diritti dei lavoratori dall’altra.

IMPRESSIONA E PREOCCUPA come possa coesistere e addirittura prosperare, nell’Europa contemporanea che noi conosciamo, un buco nero nei diritti basilari come quello in cui versa una quota importante della produzione di cibo. Esiste un mondo agricolo poverissimo, che comprende spesso anche gli agricoltori proprietari degli appezzamenti da cui dipendono economicamente, che combatte una guerra all’ultimo sangue competendo con i cereali super – industrializzati provenienti dal Nordamerica e con le produzioni ortofrutticole che devono costare sempre meno. Dove l’anello più debole, la mano d’opera bracciantile, viene spremuta all’inverosimile.

We are the weather urla nel suo ultimo libro Jonathan Safram Foer con ben ragione. Il richiamo non è solamente per una maggiore consapevolezza ma per un’assunzione di responsabilità. E’ la differenza fra l’essere informato e l’agire. E l’azione è obbligatoria. Serve un cambio di paradigma e di direzione verso quell’oggettivo immobilismo di una classe dirigente che si autogiustifica attraverso uno stato permanente emergenziale (disoccupazione, violenze, avversità climatiche, elezioni politiche continue) e il rassicurante e sempre concreto appello al «bisogna essere realisti».

NEL MONDO SONO CENTINAIA DI MIGLIAIA le donne e gli uomini che presidiano campagne e montagne, con latte di pascolo e agricolture biologiche e rispettose della biodiversità, che si ammazzano di fatica per fare mercati diretti nelle periferie delle città e fornire cibo sano non artefatto a buon prezzo alle persone. Che sostengono economie ed ecologie insieme. Chi sono loro se non i veri precursori di una concreto progetto di sostenibilità e giustizia ambientale e sociale? Perché non incoraggiare con forza chi decide di vivere le campagne e farvi cibo che sostiene per davvero la salute e l’ambiente?

«No Cap», associazione ma per il vero movimento contro il caporalato, si iscrive a pieno titolo in questo percorso di azione rigenerativa di persone, territori, diritti e dignità per tutti. «No Cap» organizza, promuove, dà valore all’iniziativa sociale. Yvan Sagnet ne è il leader. In questi mesi, e ancor più nei giorni di luglio agosto e settembre 2019 con la stretta collaborazione e supporto dell’associazione Altragricoltura (associazione per la sovranità alimentare che significa una fitta rete agricola territoriale che non solo condivide gli obiettivi ma li pratica concretamente sul proprio territorio) ha contattato lavoratori nei ghetti, industrie di trasformazione, di distribuzione, cooperative di agricoltori, singole imprese private per attivare lavoro in campagna di lunga durata, professionale, regolare sotto ogni profilo sindacale.

HA AFFRONTATO E GESTITO LO SGOMBERO forzato dei ghetti insieme ai ragazzi immigrati che li abitavano e si batte concretamente insieme alle associazioni locali, le parrocchie e le amministrazioni disponibili (non tutte) per trovare soluzioni per l’immediato e per la prospettiva. Per offrire una sistemazione decente a decine di migliaia di giovani lavoratori della terra, non solo immigrati, invisibili ed inesistenti sotto ogni profilo se non per le casse di pomodoro o altro che raccolgono a cottimo.
«No Cap» in questi mesi di attività ha dimostrato che tanti, dagli agricoltori alle associazioni, ad alcune istituzioni ed ad alcuni importanti soggetti della distribuzione sono disponibili e vogliosi di mettersi in gioco per offrire un diverso assetto ai propri territori. Un assetto etico, civile, solidale e giusto sotto il profilo produttivo e ambientale: «No Cap» promuove sempre il biologico e pratiche di biodiversità.

PUR CORRENDO RISCHI. Ribaltando formule consuetudinarie (i prezzi al massimo ribasso possibile) e anteponendo a queste uno sviluppo sostenibile e civico del proprio territorio. Con tutti i suoi abitanti.

«No Cap» promuove sviluppo partecipativo. Dal basso. Non solo per alcuni ma per tutti. Quando ci si batte per diritti e civiltà, legalità, libertà e presidio del territorio non trasformato in ghetti di miseria e povertà, quando ci si batte per ambiente e società insieme, lo si fa non solo per i più marginali, ma per tutti. Il cibo che proviene da qui è cibo che cambia il mondo!