L’allarme è talmente alto all’Ansaldo Breda che anche Fim e Uilm scendono in campo contro Finmeccanica. Ieri a Reggio Calabria il segretario generale dei metalmeccanici Uil, Rocco Palombella, ha inviato un messaggio al presidente del Consiglio, che ha annunciato la presentazione del piano di privatizzazioni da parte del governo: «Segnaliamo l’esigenza di tenere uniti i destini di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda attraverso la costituzione di una holding il cui assetto sociale possa rimanere in mani italiane». Le due società del colosso pubblico producono, rispettivamente, sistemi di segnalamento e vagoni per alta velocità e metropolitane, l’ad Alessandro Pansa sta cercando di liberarsene, insieme al comparto civile, per puntare tutto sul militare. Una scelta giustificata con i debiti accumulati dalla Breda, la Sts è il boccone pregiato per indorare la pillola a eventuali investitori stranieri. Ma è una teoria che non regge per la Fim: «È singolare che Finmeccanica, che ha gestito in questi anni la scelta dei dirigenti e le valutazioni dei piani industriali, le gestionali e finanche la scelta delle società di consulenza, definisca una propria azienda come una “palla al piede” capace solo di erodere i risultati di Finmeccanica. Non consentiremo che i lavoratori di Ansaldo Breda siano chiamati a pagare per scelte gestionali sbagliate e per l’assenza di ogni governo nelle politiche industriali e dei trasporti».
Cosa sta succedendo dunque? La Breda ha quattro stabilimenti per un totale di 2.200 lavoratori diretti (Palermo, Reggio Calabria, Pistoia e Napoli), la novità sembrerebbe essere la volontà di dividere in due la società: la new co (in cui andrebbero le produzioni di metropolitane e alta velocità) e la bad company finirebbero in un primo momento in Fintecna. Il passo successivo potrebbe essere vendere una parte delle quote di Sts a un partner straniero, in pole position General Electric, che potrebbe entrare anche nella new co per un paio d’anni e poi decidere se restare o, una volta cannibalizzato il know how di Sts, fuggire dall’Italia. Intanto la scissione della Breda potrebbe essere il preludio a una cura dimagrante dei lavoratori: gli impianti a indizio chiusura sarebbero Reggio e Palermo. «Il governo non dialoga con i sindacati – spiega Salvatore Cavallo, Rsu Fiom – ma, da quello che stiamo verificando, in attesa di svendere ai privati, il lavoro sporco lo fa ancora il pubblico. Probabilmente a breve partirà la cassa integrazione a Palermo ma la cosa più grave è che hanno smesso di raccogliere commesse in modo da creare le premesse per le chiusure».
Quello che denunciano i sindacati è molto grave: in Sicilia, ad esempio, si è fatto in modo di perdere il rinnovo di una commessa già in atto con Ferrovie dello Stato, 50 carrozze da media distanza all’anno per i prossimi sei anni. Mancanza di commesse nuove anche a Pistoia per i vagoni dell’Alta velocità. Tutti gli ordinativi in lavorazione finiranno entro il 2015 e, senza nuove richieste, ci sarà il blocco della produzione. Un blocco pianificato a tavolino con due anni di anticipo. «L’Italia come sempre segue le strategie opposte al resto del mondo – prosegue Cavallo – i nostri competitor, come la Germania, reagiscono alla crisi del settore militare investendo sul civile. Il nostro governo invece vuole dismettere il civile e tenere il militare. Ma il comparto produttivo dei trasporti interessa circa 30mila dipendenti che aspettano una strategia complessiva di rilancio».
Domani la Fiom ha indetto un incontro con i rappresentanti di tutte le società interessante (Breda, Sts, Menarini, Firema, Keller e Irisbus) per una strategia che coinvolga tutto il settore. «Vogliamo scongiurare altri disastri – conclude Cavallo – ad esempio svendere la Firema del casertano ai privati per appena 500mila euro, il costo di una villa. Oppure chiudere Menarini». Cioè l’unica fabbrica che produce bus in Italia, a Bologna. Le sue licenze sono già sfruttate da una ditta turca, quello che la Fiom ora teme è che Finmeccanica venda ai turchi anche il marchio, così la produzione sparirebbe del tutto dall’Italia. È quello che è già accaduto con Irisbus: Fiat ha chiuso nell’avellinese e spostato la produzione a Lione, in Francia.