Petto in fuori, mento proteso, dito puntato. Matteo Renzi è arrogante come il peggior Bettino Craxi, senza avere la classe né la cultura politica di Bettino Craxi. Si copre di elogi, sbeffeggia le opposizioni, rivendica la ciurma di trasformisti che somma il voto a quello della maggioranza. Lascia capire che arriveranno nuove accuse, ma nessun timore: lui se ne frega. Parla di tutto, tranne che delle mozioni di sfiducia che sarebbero l’oggetto della seduta del Senato.

Le mozioni sono due, quella della Lega/Pdl e quella dell’M5S. Dicono le stesse cose ma, tanto per sfidare il buon senso e il ridicolo, dopo discussione comune si votano separatamente, con ben 4 chiame: per non confondersi gli uni con gli altri. Una bizzarria che deve aver mandato in visibilio l’oggetto delle due sfiducie. La prima, quella della destra viene respinta con 178 voti. La seconda, dei 5 Stelle, con 174.

Il capo, più coatto del solito e sì che ce ne vuole, parte snocciolando il rosario delle sue riforme. Tutte meraviglie, tutte imprese mai riuscite prima a nessun altro. Tutte mani sante per il Paese: «E perché non l’avete fatta allora la mozione di sfiducia? Perché non l’avete fatta quando abbiamo riformato la Costituzione o quando abbiamo varato il Jobs Act, che stando alla stampa c’era persino un milione di persone in piazza?».
Dopo aver così celebrato ampiamente se stesso, il capo dovrebbe passare al merito della faccenda. Lo fa, però a modo suo e come propagandisticamente più funzionale: «E’ vero, abbiamo fatto la riforma delle banche popolari, come si cercava inutilmente di fare da 25 anni, come volevano fare Ciampi e Draghi e se ci fossero riusciti tante commistioni tra banche e politica si sarebbero evitate. Volete sfiduciarmi per questo?». Ma no presidente, nessuno le rinfaccia quella riforma. Il problema sono i movimenti di capitale fatti prima. Gli acquisti di titoli milionari che sarebbero stati ordinati da De Benedetti il 16 pomeriggio, prima che a mercati chiusi venisse annunciato il decreto. L’ondata d’acquisti partiti da Londra, che aveva portato a un aumento dei titoli di Banca Etruria di oltre il 60%, mentre il resto delle banche arrivava a malapena a un aumento dell’8%.
Bazzeccole. Particolari tanto triviali non meritano di essere neppure citati dal fiorentino della Provvidenza. Che infatti glissa. Allo stesso modo, quando si arriva al decreto salvabanche, sorvola sul particolare degli obbligazionisti rovinati: «Volete sfiduciarmi per aver salvato un milione di risparmiatori e 7mila posti di lavoro?». Solo una volta echeggia nell’aula di palazzo Madama il nome Boschi. Per assicurare che come il governo nel suo complesso non guarda in faccia nessuno, figurarsi che Banca Etruria la aveva persino commissariata, così la ministra Boschi è al di sopra di ogni sospetto: «Acccusa infima e meschina. Non c’è stato un solo avvenimento che possa far parlare di conflitti di interesse, né per Maria Elena Boschi né per nessun altro ministro».

Il signor Pierluigi Boschi, invece, è proprio come se non esistesse. Né lui né gli inganni con cui la banca nel cui cda sedeva spinsero alcune migliaia di malcapitati a tuffarsi in obbligazioni ad alto rischio senza saperlo. Come non esiste il massone Valeriano Mureddu, al quale l’allora vicepresidente di Banca Etruria si rivolse perché gli indicasse un direttore generale in grado di risollevare le sorti dell’istituto. Figurarsi poi Flavio Carboni, il limpido faccendiere indicato da Mureddu che si incontrò tre volte con papà Boschi e un nome per quel posto lo tirò fuori dal cappuccio davvero, peccato che a bocciarlo fu poi Bankitalia.

L’ex socio del Nazareno di questa storie non s’impiccia. Preferisce prendere per il bavero l’opposizione azzurra, che ormai è come sparare sulla croce rossa. Proprio voi a parlare di conflitto d’interesse? E come mai nella vostra mozione è riportato paro paro un errore comparso anche sul Fatto? Non è che copiate e incollate i testi del nemico giurato? Ma Renzi non stuzzica i forzisti solo perché fare il gradasso gli viene naturale. La sua è una chiamata alle armi, anzi alla scialuppa che traghetta ascari verso la sua corazzata. «Quando tornerete a essere moderati? Non vedete che i voti per il governo aumentano ogni giorno di più?».

In effetti. E’ arrivato Denis, è arrivato Bondi, poeta di corte di Berlusconi, è arrivato il senatore D’Anna, quello che tanto tuonava contro Renzi, ai tempi dell’idillio, che Berlusconi quasi gli fratturava un dito. E’ arrivata l’ex 5S anticasta Adele Gambaro. Arriveranno le tre ex leghiste che ieri hanno saltato il fosso. La Fucksia, ultima espulsa da Grillo proprio per aver plaudito la Boschi, invece si è astenuta. Un passo alla volta. Si chiama «carro del vincitore», presidente, e in Italia è prudente fidarsene poco.