La proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta «sull’uso politico della giustizia» che ha come prima firmataria l’onorevole Gelmini va rigettata sia per una ragione di principio sia per i suoi intenti politici di parte. In primo luogo essa rappresenta una palese violazione del principio della separazione dei poteri in quanto un potere politico, nei confronti del quale la Costituzione sancisce espressamente l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, non può mettere sotto indagine l’attività giudiziaria svolta dai magistrati che hanno inquisito o condannato personalità politiche nonché l’associazionismo interno alla magistratura.

Non è affatto un buon argomento a difesa della iniziativa il paragone fatto da Sabino Cassese sul Corriere della Sera con la commissione istituita dal Presidente Biden relativa alla Corte suprema. Infatti si tratta di una commissione di studio formata interamente da giuristi, e non da parlamentari, che ha il compito di avanzare proposte sulla composizione e sulle modalità di esercizio delle funzioni della Corte. Si può stare certi che nessuno negli Stati uniti oserebbe proporre l’avvio di una indagine parlamentare sulla giurisprudenza della Corte suprema che ha riguardato uomini politici o ha avuto un’incidenza politica (basti ricordare la sentenza del 2000 che ha sancito definitivamente la vittoria di Bush alle elezioni presidenziali).

È priva di pregio anche l’obiezione per cui, se si nega l’inchiesta parlamentare sulla giustizia, allora anche i magistrati non potrebbero indagare né parlamentari, né amministratori pubblici che appartengono ad altri poteri. Si finge di dimenticare che la funzione attribuita all’autorità giudiziaria è proprio quella di indagare ed eventualmente sottoporre a giudizio chi sia sospettato di avere commesso un reato indipendentemente dalla sua qualifica soggettiva e che la magistratura non ha (così come il Csm) il potere di indagare gli organi politici per le modalità e le finalità con le quali sono intervenuti in materia di giustizia. Inoltre la commissione proposta costituirebbe un pericoloso precedente che in futuro non potrebbe escludere altre indebite invasioni sulle funzioni svolte da altri poteri, come ad esempio l’istituzione di una commissione di inchiesta sull’uso politico della giustizia costituzionale, più volte messa sotto accusa per la presunta natura politica di alcune sentenze.

Quanto agli intenti politici di parte che animano la proposta, basta leggere la relazione che l’accompagna. Si tratta infatti di un atto di accusa contro l’esercizio della funzione giudiziaria e contro l’associazionismo nella magistratura che pretende di ricostruire in modo unilaterale trenta anni di storia della giustizia nel nostro paese. Infatti la magistratura è accusata di avere organizzato un complotto contro partiti politici e uomini politici, di avere esercitato un indirizzo politico in materia di giustizia, di avere dato vita a organizzazioni politiche in stretto rapporto con i partiti politici, di avere esercitato una supplenza nei confronti della politica determinando le dimissioni di governi.

Tutte accuse contestabili: il complottismo è indimostrato e non fa i conti con l’elevato livello di corruzione e di malaffare manifestatisi nella politica; la magistratura tramite i pareri e le proposte del Csm può avere influenzato, peraltro in misura limitata, ma certo non ha determinato l’indirizzo politico sulla giustizia; le associazioni della magistratura non sono partiti politici e non hanno avuto rapporti organici con i partiti; la supplenza è stata facilitata da una politica incapace di adottare sanzioni contro comportamenti disonorevoli per i quali invocava una sentenza definitiva di condanna; nessun governo si è dimesso a causa di iniziative giudiziarie, ma per il distacco di partiti che facevano parte della maggioranza (governo Berlusconi primo e governo Prodi bis).

Infine i principali riscontri a supporto delle accuse sono le «rivelazioni» farlocche e interessate di Palamara, estromesso dalla magistratura per gravissimi illeciti disciplinari, e quelle del giudice Franco sulla sentenza di condanna di Berlusconi, un magistrato imbarazzante che, dopo aver condiviso e sottoscritto pagina per pagina la sentenza della Cassazione, è andato a baciare la pantofola del condannato, raccomandandosi che le sue dichiarazioni non fossero rese note fino al pensionamento dalla magistratura. Ovviamente nella relazione non c’è traccia dell’uso che la politica ha fatto di singoli magistrati, come in passato del giudice Squillante corrotto per la sentenza sul lodo Mondadori e da ultimo dello stesso Palamara, attivo, insieme ad altri magistrati, per la nomina del dirigente di un procura che indaga su un influente uomo politico.

Un’ulteriore effetto negativo della proposta se attuata sarebbe quello di mettere in secondo piano i problemi reali che affliggono la giustizia e la magistratura, come la durata dei processi, l’uso eccessivamente discrezionale dei poteri di indagine, la degenerazione correntizia, il carrierismo individualista il funzionamento del Csm, tutti problemi rispetto ai quali il parlamento deve fare il suo mestiere che è quello di approvare leggi di riforma, seguendo l’esortazione del presidente della Repubblica e la metodologia adottata dalla ministra della giustizia, anziché pretendere di arrivare ad una resa dei conti con la magistratura che esaspererebbe la conflittualità e non contribuirebbe in nulla a migliorare il rendimento della giustizia a vantaggio dei suoi utenti.