Pasqua non ha portato il ramoscello d’ulivo nella maggioranza. Potrebbe anzi non aver portato neppure quella fragile tregua sul Salva Roma che sembrava possibile. Sul caso di Armando Siri, invece, non c’è mai stato neppure un vago accenno di schiarita. Il braccio di ferro prosegue e alla fine dovrà esporsi il premier Giuseppe Conte. Non oggi però. Complice la serie di ponti e il viaggio in Cina, il presidente del consiglio rinvierà probabilmente alla settimana prossima il momento della verità.

MA PER IL SALVA ROMA non è più possibile prendere tempo. Il provvedimento dovrebbe essere inserito nel decreto Crescita, che giace nel cassetto da settimane. Il consiglio dei ministri dovrebbe licenziarlo oggi, potrebbe forse slittare a domani ma non oltre. Ci sono però all’interno due nodi essenziali ancora non sciolti e uno è proprio il decreto sulla Capitale. L’altro, non meno rilevante, è quello sui rimborsi ai risparmiatori truffati, anch’esso in sospeso da settimane.

Sul Salva Roma Salvini è tassativo: «Non ci sono comuni di serie a e comuni di serie b. Si devono aiutare tutti, comuni grandi e comuni piccoli tanto più che a Roma c’è una sindaca che non ha il controllo della città». Risponde a stretto giro la viceministra dell’Economia Laura Castelli e a prima vista sembra che ci siano tutti gli estremi per l’accordo nell’aria già da un paio di giorni: «Non c’è nessun Salva Roma, in questo caso non c’è un nemico. I comuni vanno salvati tutti».
Capitolo chiuso? No, perché la viceministra pentastellata aggiunge precisazioni che alla Lega non possono che andare di traverso: «Nella conversione del decreto crescita verranno inserite norme utili a risolvere le problematiche di molti comuni, ognuno con una sua specificità». Insomma, per ora si proceda con il salvataggio della Capitale e tutt’al più anche delle altre città metropolitane in difficoltà, come Catania e Torino. Poi, al momento della conversione, si vedrà cosa fare con gli altri comuni.

IL NIET LEGHISTA ARRIVA immediato. In caso di accordo su tutti i comuni, affermano le solite “fonti leghiste”, anche il Salva Roma potrebbe entrare nel decreto ma «in sede di conversione: le norme vanno portate avanti tutte insieme, non prima una poi le altre». La Lega non retrocede dalla sua richiesta: stralcio della norma su Roma dal decreto, poi trattativa su tutti i comuni, senza binario preferenziale per la Capitale.

Insomma, su Roma è stallo mentre non è ancora certo che si sia sbloccata la situazione sui rimborsi ai risparmiatori. La formula del governo continua a essere osteggiata da due associazioni tra le più importanti. Servono modifiche. Non è ancora chiaro se e quali saranno: «Vedremo quale sarà la volontà politica dopo il consiglio dei ministri», mette le mani avanti Luigi Ugone, presidente di «Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza», la più importante delle due associazioni che bocciano la proposta.

Il caso Roma si intreccia inevitabilmente con quello Siri, il sottosegretario alle infrastrutture indagato al quale il ministro Danilo Toninelli ha ritirato le deleghe: «La Lega pensi a Siri invece che fare di tutto per nasconderlo», attacca in forma anonima il Movimento 5 Stelle, chiarendo che anche il braccio di ferro su Roma sarebbe solo un modo per sviare l’attenzione dal caso Siri-Arata. Su quel fronte, dunque, non solo non ci sono state schiarite ma neppure l’avvio di una possibile trattativa. Sulla carta la via d’uscita ci sarebbe. In base al codice etico concordato da Lega e 5S le dimissioni sono obbligatorie in caso di rinvio a giudizio, non di semplice indagine.

Conte potrebbe impugnare quella norma, magari insistendo sull’«opportunità politica» delle dimissioni comunque, affidata però alla sensibilità di Siri, e poi sarebbero i giudici a togliere il governo dall’imbarazzo con la scelta sul rinvio o meno a giudizio. Ma ci vorrebbe del tempo e per i 5 Stelle è invece fondamentale che il segnale arrivi prima delle elezioni europee, scadenza già degenerata in ossessione.

«CONTE DEVE DARE un segnale. Siri deve uscire dal governo e se non lo fa volontariamente sia lo stesso Conte a pretenderne le dimissioni», ordina il vicecapogruppo grillino al Senato, Primo Di Nicola. La bomba è innescata ma quando esploderà la casa gialloverde potrebbe essere già stata distrutta dal decreto salva Roma, che Salvini e i leghisti chiama ormai «salva Raggi», e il segnale è di per sé pessimo. Senza neppure aspettare la mozione di sfiducia al governo che il Pd presenterà oggi.