«Settimane fa sono arrivate le rondini». Riccardo Ferrari, della Lipu di Torino, percorre con il binocolo la stradina di terra battuta lungo l’argine del Po, nel parco del Meisino. Indica gli svassi e i nidi di folaghe. E fino a marzo «c’erano tanti anatidi, fra gli altri la moretta e il moriglione. Hanno bisogno di una zona sicura dove passare l’inverno».

SIAMO IN UNA FRA LE RARE ZPS (Zone di Protezione Speciale) urbane in Europa, ai sensi della direttiva Uccelli e parte della Rete Natura 2000. Grazie all’impegno di associazioni ambientaliste e cittadini, l’area del Meisino era già stata inserita come Riserva nel Parco del Po. Delle 223 le specie censite come nidificanti, svernanti, in transito o accidentali, un terzo sono di alto o altissimo interesse conservazionistico. Nell’area sono presenti alcune piccole aree umide, essenziali per gli anfibi, e aree aperte che ospitano uccelli come l’upupa e l’allodola, «una specie che si vede poco ormai, per via della caccia illegale ai migratori», puntualizza Ferrari.

NON SEMBRA IL POSTO GIUSTO per costruire, pur senza cementificare, quella cittadella sportiva (chiamata Parco dello sport e dell’educazione ambientale) che la giunta comunale torinese ha proposto nel 2022 come progetto nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Per la bella cifra di 11,5 milioni di euro. Eppure in città non mancano vari impianti sportivi dismessi da recuperare.

Il progetto prevede: strutture «rimovibili» per la pratica di skills bike park, pump track, disc-golf, skyroll, biathlon, cricket, aree fitness e via recitando, in inglese; la ristrutturazione dell’ex Galoppatoio militare per farne un Centro di educazione ambientale con punti ristoro, palestra di arrampicata, aree giochi; una costosa passerella in legno su corso don Sturzo per collegare le due parti del parco (anche se già esiste un sottopasso e altre passerelle hanno conosciuto infelici destini); la riqualificazione del verde con tagli e piantumazioni; pedane per attraversare le zone umide e di maggior valore naturalistico. Alle quali forse bisognerebbe forse impedire l’accesso, in certi periodi dell’anno.

LA PREVEDIBILE ANTROPIZZAZIONE dell’area, con conseguente disturbo per la fauna selvatica, ha suscitato proteste e contro-proposte da parte di associazioni e comitati, che stigmatizzano anche il mancato coinvolgimento della cittadinanza. Il comitato Salviamo il Meisino ha raccolto 7.000 firme contro il progetto. Dal canto suo, la Consulta comunale per l’ambiente e il verde della città di Torino (formata da varie associazioni ambientaliste) in un documento del 31 marzo chiedeva di valutare la possibilità di limitarsi alla parte dedicata all’educazione ambientale, e con interventi a bassissimo impatto. Del resto, la zona Zps avrebbe piuttosto «bisogno di interventi di rinaturalizzazione».

PER GIUSTIFICARE IL PROGETTO, il Comune ha evocato il degrado dell’area, l’importanza dello sport, la necessità di inclusione sociale anche dei disabili, l’importanza dell’educazione ambientale. Ma il parco, dice Laura Lossi di Salviamo il Meisino, «non è una zona degradata, come altre a Torino che hanno bisogno di recupero e inclusione»; e lo sport già vi si pratica, senza bisogno di denaro pubblico: «Tanti cittadini lo vivono in maniera semplice, a piedi, in bici, rispettando la natura».

Nella circoscrizione, poi, gli impianti sportivi non mancano di certo. E «attenzione al carico antropico e alle tipologie di sport che possono disturbare le aree umide e di nidificazione, in questo luogo unico, vero bene comune», ha spiegato dal canto suo Piergiorgio Tenani, presidente della Consulta per l’ambiente e il verde, il 18 aprile nel primo incontro pubblico sul progetto; inoltre «l’attività didattica e ambientale la facciamo da decenni al Meisino», e «l’accessibilità c’è già e può essere migliorata come chiediamo da tanto tempo».

ALTRE PROTESTE HA SUSCITATO l’abbattimento di alberi di alto fusto, alloctoni, da sostituire con giovani autoctoni i quali però, secondo il Comitato Meisino, potrebbero registrare una mortalità elevata a causa della prolungata siccità, come già accaduto in altri parchi urbani. L’assessore Francesco Tresso, competente per il verde pubblico, ha promesso finalmente un approccio concordato. Che sarebbe fra l’altro prescritto dal codice degli appalti, nel caso di interventi in aree protette, ha puntualizzato Emilio Soave per la Consulta.

INTANTO, DUE PARERI VINCOLANTI dell’ente parco Po hanno obbligato a rivedere il progetto. Il primo rilevava la «non conformità rispetto al Piano di area» (che tutela le zone naturalistiche). Allora il Comune ha stralciato la pista sintetica per lo sci di fondo e altre attività sportive lungo l’argine, a due passi dalle nidificazioni. A quel punto l’Ente del Parco ha salvato il progetto, ma imponendo una serie di condizioni. Fra queste: monitoraggio delle emissioni acustiche e luminose fuori della Zps ma in grado di disturbarla in fase di cantiere ed esercizio; presenze massime di 20-25 soggetti adulti sulle pedane nelle zone umide; cartelloni di divieto di accesso al di fuori dei percorsi. Le attività sportive non dovranno compromettere nemmeno le fasce a prato stabile o rinaturalizzate, che sono aree complementari di rifugio e trofiche per la fauna presente nella Zps.

INVECE, LA RICHIESTA DA PARTE dell’ente parco di migliorare la qualità e distribuzione degli habitat non è stata accolta dal Comune: il bando Pnrr non lo prevede. Ma «si ritiene che ciò disattenda le indicazioni delle misure di conservazione esistenti», ammonisce l’Ente. Chi provvederà?

UN COMMENTO, IN ATTESA DEL PARERE della Consulta, arriva dalla Lipu che ne fa parte: «La parziale stroncatura ha costretto a estromettere dalla zona a Zps le attività prettamente sportive, limitando gli interventi alla fruizione naturalistica. Anche per gli interventi esterni alla Zps sono richiesti molti controlli. Il Comune nella sua fretta e furia non si è reso conto che ci troviamo in un sistema di aree protette», spiega Riccardo Ferrari. Ma a questo punto: «Se è vero che faranno interventi leggeri, ha senso una spesa così elevata? Aspettiamo il progetto definitivo per capire se rispetterà le prescrizioni. Rimane la domanda sul perché si sia scelta quest’area».

FRA LE ALTRE DOMANDE SENZA RISPOSTA c’è questa, ripetuta dalle associazioni: come saranno gestiti l’impattante cantiere e poi le strutture realizzate? Oltretutto, si tratta di impianti suscettibili di ammalorarsi anche in tempi brevi come già si è visto altrove, ha rilevato Tenani. E con quali fondi e da quali capitoli di bilancio si manterrebbe in piedi il tutto, in una città fortemente indebitata? C’è chi evoca il rischio di un affidamento delle strutture ai privati.

CON LA CRISI CLIMATICA E IDRICA, le specie e le aree in sofferenza sono aumentate. Interventi di supporto, magari in nome della legge europea Restoration Law che andrebbe recepita dagli Stati membri, sarebbero più che auspicabili adatti ai tempi e anche economici. L’Ente Parco, ad esempio, chiede la realizzazione di uno stagno permanente dotato di cintura di piante elofite, con sponde esposte alla luce solare e spiagge sabbiose.