No al carcere per i writer. È il concetto base della proposta di riforma di legge presentata martedì 12 febbraio alla Camera dei deputati. A presentare la modifica dell’articolo 639 del codice penale è stato Erasmo Palazzotto, parlamentare di Liberi e Uguali, che ha recepito il lavoro del collettivo Wiola Viola, nato a Milano da artisti murari e attivisti sociali per criticare l’ideologia del decoro e l’accanimento mediatico e giudiziario contro i graffitari.

Con la modifica di legge, operata nel 2009 nel pacchetto sicurezza di Maroni, il reato è perseguibile d’ufficio e prevede la carcerazione oltre a pesanti multe. Le retoriche del decoro di una società sempre più spaventata e rancorosa assieme alla crescente sete di vendetta mascherata da giustizia hanno accresciuto lo scontro negli ultimi 10 anni.

Così il numero dei processi penali è esploso e si è esteso a chiunque tracci un segno umano su un muro, anche a una serie indefinita di artisti con curriculum significativi alle spalle. Così assistiamo a processi penali anche a carico di chi ha regalato qualcosa di bello e significativo alle nostre città, tramite il recupero e valorizzazione di non-luoghi metropolitani.

Attivisti e attiviste di Wiola, assieme a Palazzotto, denunciano come si sia voluto creare un nemico e reprimerlo con durezza senza assolutamente tenere in considerazione la costituzione del nostro paese per cui la pena ha fini rieducativi.

Pensare che la carcerazione, che è forma di esclusione sociale e non rieducativa, sia “pena” commisurata per chi usa i muri per comunicare è pensiero debole ascrivibile alla deriva securitaria del nostro paese e all’uso delle leggi come elemento coercitivo.

La derubricazione della pena è richiesta di buon senso e non nega che sia legittimo che alcune persone preferiscano (e vogliano) il muro di casa o dell’azienda bianco.

L’introduzione della pena detentiva, unitamente alla previsione della procedibilità d’ufficio, ha prodotto non solo l’aumento esponenziale di procedimenti penali a carico degli artisti di strada ma anche la negazione di forme altre di risoluzione dello scontro su ogni singolo muro con le amministrazioni comunali, che nello stesso periodo hanno costruito gruppi operativi speciali della polizia municipale, in campo per agire retoriche criminologiche verso chi usa i muri per comunicare.

La procedibilità d’ufficio ha imposto di fatto la complessa e costosa trama del processo penale ad ha orientato la narrativa criminogena della politica sempre più schiava della campagna elettorale permanente. Come dire, si è creato il problema e il criminale (graffitaro) per poi potersi raccontare e farsi percepire come chi garantisce la giustizia sconfiggendo chi crea problemi e infrange la legge.

Il tutto ha raggiunto l’apice con la perniciosa ossessione da decoro urbano, per cui ogni elemento non controllato nella città e che mostra vita, presenza umana, e per questo conflittualità tra le diverse modalità di vivere la città vada represso per favorire investimenti economici e turistificazione.