«Auschwitz è stata una grande lezione e dimostra che bisogna fare tutto ciò che è possibile per proteggere i nostri cittadini», ha dichiarato la premier polacca Beata Szydlo mercoledì in un discorso che strumentalizza la tragedia del Novecento. Una sortita infelice quella di Szydlo, in occasione dell’inaugurazione del museo dei Giusti polacchi a Auschwitz, che suona come una giustificazione al nie incondizionato di Varsavia al ricollocamento di profughi sul proprio territorio. Non è certo una coincidenza che le parole della prima ministra della destra populista del partito Diritto e giustizia (PiS) siano state pronunciate all’indomani dell’annuncio dell’apertura di una procedura di infrazione Ue contro Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia per il mancato accoglimento dei rifugiati da Italia e Grecia. Una decisione che era stata presa a maggioranza qualificata due anni fa dai ministri dell’Interno Ue. Praga, Budapest e Varsavia non hanno preso bene la notizia ma Angela Merkel non si è scomposta: «La Commissione Ue fa quello che è suo dovere fare o crede di dover fare, per cui non c’è, per me, nessuna ragione per criticarla», ha commentato la cancelliera tedesca.

Nel caso della Polonia il nie è anche un dietrofront nei confronti di Bruxelles, visto che la formazione di centro-destra Piattaforma civica (Po) dell’attuale presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, aveva dato il proprio via libera all’accoglienza di almeno 6.000 immigrati prima della debacle elettorale alle politiche dell’ottobre 2015 per mano del PiS. Chi pensava che la visita di papa Francesco lo scorso luglio, durante la Giornata mondiale della gioventù a Cracovia, potesse in qualche modo ammorbidire la posizione del PiS, in nome della misericordia cattolica, si è dovuto ricredere: «Un via libera ai profughi sarebbe comunque peggio delle multe dell’Unione europea», aveva tuonato il mese scorso il ministro degli Interni polacco Mariusz Blaszczak quando la notizia dell’ennesima reprimenda Ue nei confronti di Varsavia era già alle porte.

L’annuncio da parte del presidente polacco Andrzej Duda di un referendum sui profughi, sulla falsariga di Budapest, è un altro sintomo chiaro della politica di orbanizacja della Polonia voluta dal partito fondato dai fratelli Kaczynski. La notizia data dal tabloid Super Express, è attendibile anche alla luce dalle circa 400.000 firme finora raccolte dalla lista parlamentare degli zmieleni «frantumati» del rocker populista Pawel Kukiz, promotrice del plebiscito. Ne mancano ancora 100.000 all’appello, quota che dovrebbe essere comunque raggiunta entro il 2019, l’anno in cui il PiS intende indire il referendum.

Non a caso Duda ha intenzione di organizzare la consultazione a ridosso delle prossime elezioni parlamentari proprio per sfruttare alle urne lo spauracchio degli immigrati.