Le regole del mercato non si possono rivedere, o quantomeno discutere, nemmeno durante una pandemia globale. Ieri mattina, di fronte alla sede di Ascoli Piceno della Pfizer, i centri sociali delle Marche si sono presentati per protestare contro le politiche della multinazionale principale produttrice mondiale di vaccini anti Covid. Tute bianche d’ordinanza, fumogeni e un lungo striscione: «Basta profitti sulla salute. Espropriamo i brevetti».

La richiesta è financo banale, visti i tempi, ma sono pochissimi i paesi del mondo che fin qui si sono dimostrati disposti a mettere in discussione le scelte di Pfizer-Biontech, Moderna o AstraZeneca: tra mercato e salute pubblica non c’è partita. Non c’è mai stata. Chi vuole il vaccino lo deve pagare, in un modo o nell’altro, non può produrlo in autonomia e non può che accettare i ritardi e i capricci dei produttori. «È inaccettabile che i giganti del farmaco facciano profitti su quello che oggi si può tranquillamente definire un bene primario – sostengono i centri sociali delle Marche -.

È ancora più grave che mentre si rallenta drasticamente la campagna vaccinale per presunti problemi produttivi, inizino ad emergere filiere di mercato parallele con la conseguenza non solo di un maggior lucro, ma anche dell’aumento del prezzo d’acquisto degli stessi vaccini».

Alla Pfizer di Ascoli non si sforna il vaccino, ma un antivirale impiegato comunque nella cura del Covid. Per il resto, la produzione è incentrata su compresse e capsule di antinfiammatori, farmaci oncologici e del sistema nervoso centrale. Fino a qualche anno fa, quello marchigiano, aperto sul confine più a nord della vecchia Cassa del Mezzogiorno, era famoso per la produzione del Viagra e dello Xanax.

Qualcuno ci vedeva una metafora perfetta della provincia marchigiana, in continua oscillazione tra euforia e depressione, senza soluzione di continuità. Adesso, dopo una crisi che ha ridotto il personale (circa 500 persone) ma non la produzione («Serviamo cento paesi del mondo», dicono dalla dirigenza locale), Pfizer è una delle ultime multinazionali ancora presenti lungo i dieci chilometri di asse industriale che dalla città di Ascoli costeggiano il fiume Tronto fino a congiungersi con la Bonifica, la «strada della prostituzione» che separa le Marche dall’Abruzzo e porta al mare.

La settimana prima dello scorso Natale, mentre il titolo di Pfizer volava in borsa e i contratti per le forniture di vaccinazioni nel mondo raggiungevano cifre impressionanti, nelle Marche l’azienda ha annunciato la propria intenzione di allontanare sessanta dipendenti, di cui 17 subito e altri 43 nei prossimi mesi. Non si è trattato di licenziamenti, tecnicamente, visto che si parla di lavoratori assunti in leasing da Ranstad e Adecco. Nel frattempo, visto che danno e beffa viaggiano sempre in coppia, sempre da Pfizer è arrivato l’annuncio di una generosa donazione di centocinquanta pasti per la mensa dei poveri di Ascoli.

A parte la Cgil (Daniele Lanni del Nidil: «Non ha alcun senso considerare uno stabilimento come comparto a se stante per una multinazionale che ha siti in tutto il mondo»), gli altri sindacati non hanno dato molto peso alla cosa: Ranstad e Adecco, d’altra parte, ricollocheranno i lavoratori altrove. Secondo l’azienda il problema è che la pandemia «ha ridotto del 25% il volume produttivo dello stabilimento», e non fa niente se nel frattempo Pfizer ha un bilancio delle dimensioni di una manovra finanziaria europea. La linea è chiara e indiscussa: i vaccini si pagano e i lavoratori se sono inutili vengono allontanati. Il mercato è inflessibile. La flessibilità, casomai, ce la devono mettere gli altri.