Con la legge di bilancio 20171, il Maeci ha istituito un fondo straordinario denominato Fondo per l’Africa con una dotazione di 200 milioni di euro.

Qualsiasi cittadino italiano si aspetterebbe che una misura del ministero degli esteri e della cooperazione internazionale con questo nome fosse volta a finanziare azioni in favore delle popolazioni in stato di necessità nel continente africano.

Invece il fondo è volto a finanziare, accanto ad azioni di cooperazione allo sviluppo, anche consistenti interventi di controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari.  Di questi 200 milioni l’Italia ne ha ad oggi stanziati 150, un residuo di 50 milioni è stato riportato nella Legge di Bilancio 2018 a cui si aggiungono ulteriori 30 milioni.

Questi fondi sono stati in parte stanziati in progetti specifici nei principali paesi interessati dalla rotta dei migranti verso il Mediterraneo Centrale – Niger, Libia e Tunisia in particolare –  e in parte sono invece transitati per il contenitore europeo dei Fondi Fiduciari (Eu Emergency Trust Fund for Africa) per poi arrivare direttamente nelle casse dei Paesi africani coinvolti.

Un sistema di vasi comunicanti – sia tra Italia e Europa, che tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Italiana e il Ministero degli Interni – che rende difficile la tracciabilità dei fondi e il monitoraggio del loro utilizzo.

Alla lettura dei decreti ministeriali, appare evidente che l’utilizzo reale del Fondo per l’Africa ha poco a che vedere con l’obiettivo dello sviluppo delle popolazioni in difficoltà nei paesi beneficiari: i principali progetti finanziati sono, infatti, di contrasto all’immigrazione e controllo delle frontiere.

L’esempio più esplicito è il fondo allocato per il Niger: 50 milioni di euro che, transitando per il Fondo Fiduciario Europeo, vanno direttamente a rafforzare il budget strutturale di uno dei paesi più poveri al mondo.

Con questi fondi il Niger s’impegna a creare nuove unità specializzate necessarie al controllo dei confini e nuovi posti di frontiera.

Una militarizzazione delle frontiere che obbliga i migranti a uscire dalle rotte battute, aumentando tragicamente il rischio d’incidenti e morti, trasformando cosi anche il deserto in un cimitero.

Un altro esempio di distorsione delle risorse è quello della Libia, per la quale il Maeci stanzia dieci milioni di euro, gestiti dal Ministero degli Interni Italiano, che si aggiungono ad altri due milioni e cinquecentomila euro destinati a finanziare la riparazione di quattro motovedette che diventano cosi proprietà delle guardia costiera libica, nota per essere responsabile di operazioni violente di intercettazioni e respingimento dei migranti in mare.

Con la stessa logica dodici milioni di euro sono stati destinati al governo tunisino per finanziare forniture di mezzi di pattugliamento delle zone costiere (6 motovedette), un sistema di rilevamento delle impronte digitali, materiale informativo e di tele-radiocomunicazioni ed equipaggiamenti per i servizi di pattugliamento marittimo terreste finalizzati al contrasto del traffico di migranti e alla ricerca e soccorso in mare.

È evidente che i provvedimenti di allocazione dei fondi allo sviluppo per attività di controllo delle frontiere, da cui conseguono sistematiche violazioni dei diritti umani, rappresentano una chiara negazione del principio di «cooperazione e dialogo» per cui i fondi sono stati istituiti.

Peraltro con l’uso distorto di questi fondi l’Italia rischia di violare le Convenzioni Internazionali di cui è firmataria.

L’utilizzo del Fondo per Africa contraddice, infatti, le finalità per cui sono state stanziate tali risorse, perché di fatto non sono destinate al finanziamento d’interventi di cooperazione allo sviluppo, secondo la programmazione e le modalità previste dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, per favorire il progresso economico e sociale e, più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che vivono in situazioni di disagio socioeconomico nel continente africano.

L’Italia ha stabilito di dotarsi di una legge e di una agenzia per lo sviluppo dando seguito al principio che la cooperazione allo sviluppo è parte integrante, e anzi nobile e fondamentale, della sua politica estera.

E non è possibile sottomettere e condizionare l’attribuzione e l’erogazione di aiuti bilaterali allo sviluppo per le popolazioni alla sottoscrizione da parte di autorità africane e di gruppi informali di accordi sul controllo dei flussi migratori. Al contrario questi fondi contribuiscono a una politica, quella di esternalizzazione delle frontiere, che ha un impatto tragico sulla vita di migliaia di uomini, donne e bambini costretti, ad esempio proprio nel caso della Libia, a rimanere prigionieri alla mercé di quelle bande di trafficanti che tutti dichiarano di voler combattere.

Per questi motivi è urgente e indispensabile modificare la destinazione d’uso di queste risorse contenute nella legge di bilancio 2018, per assicurare il corretto perseguimento degli obiettivi delle attività di cooperazione allo sviluppo, come previste dalla legislazione italiana ed internazionale.

*** Documento della presidenza Arci e Arcs inviato al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Affari Esteri e a tutti i parlamentari.