È uno dei dischi hip hop italiani più attesi dell’anno – esordio al numero uno della hit parade targata Fimi, ma Nitro è uno di quei rapper che è importante ospitare in queste pagine per tanti motivi, come la sua attitudine nell’interpretare il presente o perché è guidato – un po’ come tutta la crew di Machete – da una tensione verso l’innovazione. A 24 anni la maturità del suo ultimo album, No Comment (Sony Music), è «solo» la conferma di una parabola artistica meno centrata sulla sua figura e più riflessiva. «Un rap fresco e intellegibile per vari livelli di ascoltatori» lo definisce Nitro, contattato al telefono mentre sta girando per un instore tour. Nitro si è ispirato anche a Black Mirror, tanto da intitolare due brani San Junipero come la puntata della serie, ma tutto il disco affronta il tema della tecnologia con piglio critico: «È un mezzo efficacissimo e bellissimo, però per passare dalla realtà alla distopia ci vuole pochissimo, con la realtà virtuale più vera di quella esperita. Non sto criminalizzando lo strumento: il mio obiettivo è di rompere il ghiaccio aprendo un dibattito vero». La scena rap è in un certo senso social friendly e sa come comunicare a proprio vantaggio, tanto che la FIMI ha dovuto cambiare le regole di conteggi degli streaming per le classifiche.

Nitro ha stigmatizzato l’esasperante ricerca di consenso e di gossip attraverso il video, ironico ma significativo, del suo brano Infamity Show. Prodotto da Salmo, in pochi giorni ha superato il milione di visualizzazioni. In Last Man Standing invece omaggia i Colle del Fomento, la vecchia scuola incontra la nuova, ma anche un riconoscimento delle radici dell’hip hop italiano: «Ci dev’essere rispetto per la storia, più che un omaggio è un’immagine di me adolescente che da piccolo giravo con i Colle nel walkman. L’ho fatto di proposito su quel tipo di beat, per far capire che non è importante la strumentale su cui mi muovo, conta solo ciò che dico». In un’intervista hanno scritto che sia meno incazzato, il punto forse è che Nitro prende meglio la mira, con un disco di contenuti: «Dici bene, ho esattamente preso la mira, dal pezzo un po’ più triste a quello più allegro o arrabbiato, sono riuscito a bilanciare meglio».

Beat nuovi su rap crudo, fatto alla vecchia maniera, ma più melodico specialmente per la voce: «Ho creato un’ambientazione che accompagna tutto il disco e che, a livello sonoro, lo rende l’album più concept che ho fatto. Per me si può chiamare hardcore 3.0, è forte e nuovo allo stesso tempo. Sì, ho iniziato a prendere lezioni di canto e continuerò a farlo perché mi ha aperto un mondo di cui per ora si vede solamente la serratura. Vorrei un giorno fare pezzi solo cantati ma alla mia maniera». Si percepisce che questo lavoro è frutto di un’esplorazione artistica ed emotiva, di una dolorosa ricerca di senso: «Tutto il disco è un momento critico, ci sono stati giorni in cui volevo mollare ogni cosa. Le strutture metriche stavano per mandarmi fuori di testa, ogni testo è stato rivisitato tantissime volte. Mi sembra di essere uscito da una vasca criogenica dopo più di un anno, oggi mi sento una persona diversa da quella che è entrata».

Il disco si chiude con Horror Vacui, che ci descrive così: «Il foglio bianco è l’incubo del rapper. All’improvviso ti ritrovi con il timore di aver perso lo smalto, sono paure che ora mi fanno ridere ma nove mesi fa mi spaventavano. Mi metto in dubbio continuamente, è il grande paradosso dell’artista: vorrei piacere a tutti ma rimanendo me stesso».