Nintendo Labo, il nuovo progetto di Nintendo a base di cartone riciclato, è una mutazione tecnologica dell’origami, qualcosa di antico e nello stesso tempo moderno, un nuovo modo di giocare che contempla nel suo insieme ludico la varietà di tanti altri e orienta il videogame verso un’utenza incomprensibilmente trascurata: quella dei bambini più piccoli. Non si tratta tuttavia di un passatempo concepito per lasciarvi i bimbi mentre l’adulto si concentra su altre attività, perché il bello di Labo è che spinge alla cooperazione, come certi giochi da tavola di un tempo, tende ad unire i grandi e i piccoli in una stessa dimensione giocosa e costruttiva di condivisione.

Nella scatola di Labo, mi riferisco al Variety Kit che ho avuto occasione di provare a fondo, sono presenti numerosi fogli di cartone sulla cui superficie è visibile il perimetro segmentato di forme diverse. Attraverso le istruzioni elementari e precise dettate con la gentilezza dallo schermo della console ritagliamo, pieghiamo e componiamo progressivamente i vari elementi che andranno ad edificare un oggetto particolare che richiederà dalle due alle tre ore di lavoro per essere completato. Per qualcuna di queste costruzioni sarà necessaria l’aggiunta di cordicelle ed elastici contenuti nella scatola per renderli funzionanti. La console Switch, i cui elementi si vanno ad innestare nelle forme di cartone come l’acciaio nella carne di Testuo, ma in maniera assai più tenera e benigna, è fondamentale e necessaria.

Prendo ad esempio la canna da pesca, il primo modello che ho costruito assieme ai miei figli di otto e quattro anni, “cavie” volontarie, appassionate e ideali per essere “sfruttate” da chi scrive ai fini di comprendere le dinamiche giocose e il fascino di giocattolo proprio del Labo. Ho tentato di intervenire il meno possibile durante la lavorazione, limitandomi al ruolo di supervisore. Assemblando i vari elementi della canna da pesca, combacianti con straordinaria naturalezza uno nell’altro, i bambini tendevano a domandarsi del loro significato e della loro eventuale funzionalità che ho tentato di spiegare loro, sebbene non sia un esperto di utensili da pesca. Le domande sorte sono tuttavia importanti e indicative, perché ci fanno intuire come gli oggetti architettati da Nintendo siano plausibili e funzionanti, non solo forme senza uno scopo che non sia estetico, e che incuriosiscano chi li costruisce a proposito della tecnologia sulla quale si fondano e sul loro scopo. La canna da pesca ultimata è quindi retrattile come una di quelle vere e possiede un vero e proprio mulinello la cui lenza va a inserirsi in un “mare” artificiale, formato da una base di cartone dentro la quale va inserito verticalmente il tablet della Switch. Nel corpo della canna e nel mulinello vanno invece messi i due Joycon, i controller della console. A questo punto si passa al videogioco “vero” che non va considerato in maniera indipendente dalla costruzione bensì il suo climax. Si tratta, in un’accezione non offensiva, di un giochino assai divertente e spensierato e all’apparenza semplice se ci si limita a pescare i pesci più comuni che abitano un colorato ambiente sottomarino che giunge fino a più buie profondità, come gli sgombri che vengono su con impressionante facilità. Tuttavia per pescare i pesci più rari, come i marlin e persino gli squali, è necessaria tattica e pazienza, perché bisogna sapere quando allentare la tensione della lenza agendo con tempismo sul mulinello e quando tornare a riavvolgerla. Ho temuto per la resistenza della canna di cartone ma si è dimostrata solida, persino quando la bimba più piccola si esercitava in strattoni micidiali adatti prendere all’amo un leviatano anziché un pesciolino. Il gioco continua ad esercitare un fascino inusuale sui bambini, così come l’oggetto, con il quale tendono a giocare anche quando lo schermo è spento in una mimesi di Sampei e che hanno colorato con i propri pennarelli. Per un giocatore solitario e hardcore quest’attività ittica tende ad essere meno coinvolgente dopo qualche tentativo, soprattutto perché i pesci non sono più di una decina e una volta compresa la ritmica della loro cattura il gioco diventa fini troppo elementare per l’esperto. Ma Labo è pensato proprio per i bambini, va vissuto empaticamente con loro, condividendo la meraviglia, ritrovando la nostra fanciullezza.

La canna da pesca è uno dei cinque oggetti disponibili nel Variety Kit di Labo, ci sono inoltre una deliziosa casetta, il manubrio di una motocicletta per correre virtualmente su pochi ma spassosi circuiti, una macchinina telecomandata e un pianoforte, lo strumento più utile e impressionante della confezione.

La costruzione del pianoforte trasforma i bambini in liutai in erba e questo si dimostra un notevole strumento per una propedeutica musicale, stimolando l’invenzioni di temi, timbri e armonie e consentendo di registrare la propria composizione. Tra tutte le forme di Labo il pianoforte possiede un fascino in grado di perdurare e interessare a lungo anche i giocatori più maturi e amanti della musica, inoltre è un oggetto di innegabile, cartacea e funzionale bellezza persino simbolica.

Labo è un’idea geniale e controcorrente in un mondo del videogioco i cui “abitanti” tendono oggi a inseguire la gelida tecnologia invece che il contenuto o la forma, un’utenza diffusissima che preferisce combattere ossessionanti sparatorie in multiplayer contro altri giocatori dispersi in arene anonime e solo funzionali, talvolta così ottusi da vituperare persino le opere elettroniche più significative -ad esempio The Last Guardian di Sony- e indirizzando così l’industria verso un futuro monotono e privo di fantasia e poesia.

Ma oltre al popolo dei social-media, spesso più disposto a lamentarsi in post deliranti e a trattare il gioco alla tregua di ultras del calcio invece che a giocare davvero, c’è chi continua a meravigliarsi di fronte alla grandi invenzioni di quest’arte novella e non cerca di imporre la propria volontà e il proprio cattivo gusto a chi inventa i videogame. Ognuno ha i videogame che si merita e desidera, il suo spazio virtuale dove trovarsi a proprio agio, e persino gli sparatutto competitivi e multiplayer più commerciali e meno ispirati hanno la loro ragione di essere, fino a quando c’è qualcuno che li ama, è sufficiente che il loro successo straordinario non penalizzi la creatività e la varietà che ha contraddistinto il medium dalle sue origini. Il videogame ha bisogno di essere diversificato nei suoi generi, di continuare a sorprendere e di sfidare le convenzioni e le tendenze dittatoriali del mercato. Nintendo Labo è una bellissima differenza, qualcosa di nuovo, di coraggioso e dolcemente folle. Nella maniera di un Don Chisciotte, Labo combatte le convenzioni di un sistema videoludico che per interessi economici e per la volontà di una grande parte del suo pubblico potrebbe rischiare di affogare nello stagno del banale.