Nino D’Angelo. Intramontabile. L’incipit del concerto è da colpo al cuore. Su uno schermo scorrono le immagini di un giovanissimo, «caschetto biondo» e sul palco il Nino di oggi, accolto da uno tsunami di affetto che prende immediatamente alla gola. In questo sorprendente campo e controcampo, vertigine fra passato e presente, si gioca tutto Concerto anni 80… e non solo. E uno spettacolo nello spettacolo, altrettanto straordinario, è il pubblico di Nino. Un pubblico, in spregio all’etichetta «regionale» affibbiata ai suoi film all’epoca da distributori e detrattori, nel quale affiorano strati sociali e di classe ormai privi di rappresentazione politica (e artistica). Un pubblico vero, composito, composte da donne anziane e ragazze, famiglie e bambini, torvi ragazzotti ingiubbottati il cui volto si scioglie in dolcezza nell’urlare le parole delle canzoni di Nino, adolescenti dall’eleganza vistosa. Un’altra Italia.

E una signora, notando Fortunato Cerlino, protagonista di Gomorra che prende posto in sala, sussurra con timore reverenziale: «Ce sta pur don Pietro Savastano». Un’Italia, quella che tributa a Nino D’Angelo il suo amore incondizionato, esiliata dai racconti e dalle immagini di un paese che si pensa e si rappresenta secondo esclusivamente attraverso i dettami della più vieta retorica televisiva. Eppure, come dice Nino D’Angelo in una delle sue canzoni più belle, a che serve un pensiero se non hai nulla a cui pensare? Nel rapporto con il suo pubblico, cui Nino dichiara innumerevoli volte nel corso della serata il suo amore («Grazie popolo delle mie canzoni»), grida e nessuno dubita nemmeno per un attimo che non sia così), respira un’alchimia che forse solo Pier Paolo Pasolini avrebbe saputo leggere compiutamente in tutte le articolazioni. Nino si concede con una generosità straordinaria alle richieste di foto anche durante il concerto, fermando l’attentissimo addetto alla security che vigila preoccupato. Non nega a nessuno un abbraccio, una carezza, una parola.

Ed è sull’onda di questa generosità emozionale che viaggia un concerto incontenibile: dai primi successi come Popcorn e patatine, La discoteca, L’ammiratrice giungendo sino alle contaminazioni world di Senza giacca e cravatta e Jesce sole. Uno dei numerosi apici della serata, l’amarcord cinematografico con Nino che chiama sul palco Roberta Olivieri, sua partner cinematografica dell’epoca, la sua Laura Efrikian. Ricorda i film fatti con due lire, i pagamenti con le cambiali a sei mesi e gli assegni scoperti.

E soprattutto ricorda la necessità, quando i produttori si accorgevano che i film erano troppo corti, delle corse al ralenti sulla spiaggia. «Da Mondragone a Formia, ho perso il conto delle corse che ho fatto!». Alle spalle di Nino pulsa una band perfetta che non perde un colpo. Massimo Gargiulo, piano e tastiere, il precisissimo Agostino Mennella alla batteria, Franco Ponzo alle chitarre e, soprattutto, l’incredibile corista Milly Alcolese. Infaticabile Nino si produce in uno scatenato medley di classici napoletani da Renato Carosone a Tammurriata nera che porta il già altissimo livello di entusiasmo al punto di non ritorno. E si capisce, ancora una volta, perché un brano come Mio caro pubblico venga eseguito con tanta devozione da Nino e cantato con passione dai presenti.

Nino D’Angelo, cuore di un mediterraneo italiano nella cui voce risuona la sensualità raï e il richiamo dell’Oriente, al pari di Pino Daniele e Roberto De Simone, James Senese e Toni Esposito, Avitabile e Gragnaniello, appartiene al novero dei musicisti che hanno reinventato la tradizione musicale di Napoli. Sergio Bruni sarebbe orgoglioso di questo ragazzo che ce l’ha fatta senza giacca e cravatta. Solo con un jeans e una maglietta.