Le ninne nanne sono un arcaico rituale scelto per addormentare i bambini, relazionando la mamma con il bambino in una sintonia vitalizzante e sonora. Serbano nutrite proprietà salutari e terapeutiche. I testi delle ninne nanne, pur esprimendo dei nonsense, celano notevoli qualità, come si può desumere da un’attenta analisi. È, invero, un ambito che presume una metodologia multidisciplinare, attraverso cui la visione antropologica s’interseca con quella musicologica e psicologica. Difatti, per le ninne nanne di tradizione popolare orale, i suoni peculiari e le modalità d’esecuzione, rispetto alle frasi che le compongono, possiedono maggiore validità nella quotidianità.

Le ninne nanne, presenti nelle culture di tutti i popoli, vantano origini remote. Una prima documentazione letteraria si ritrova in Teocrito, che in uno dei suoi Idilli narra che Alcmena, madre di Eracle, intonava ninne nanne ai propri figli. La particolarità delle ninne nanne, rispetto ad altre forme di composizioni, deriva dalla commistione di musica-canto e gesto che, unitamente all’interazione madre-bambino grazie alla quale si combinano conoscenze e raffigurazioni simboliche, genera una comunicazione multimodale. Tale commistione adopera diversi registri, si dipana su più livelli, sancendo così una profonda relazione emozionale.

L’antropologo Ernesto de Martino ha rimarcato la funzione cui ottempera il dondolio ritmico del busto, sia nel lamento funebre che nella ninna nanna: «È il moto che accompagna il ritmo della ninna-nanna, ed ha al pari di esso una funzione ipnogena». Le ninne nanne si presentano come un determinato genere letterario musicale, dalla struttura di nenia cantilenante, ma con specifiche modalità d’esecuzione. Esse non solo favoriscono il sonno, ma stimolano l’accrescimento psicofisico.

La modulazione della voce racchiude l’interazione tra tonalità, pausa e fine dell’esecuzione, che si coordinano e si modulano in base alla graduale distensione del neonato. Nasce, così, un sentimento dialogante, dove il bimbo non è un apatico destinatario bensì un soggetto partecipe e interagente. Il legame tra canto e movimento del cullare il bambino in braccio o in culla è così stretto, che gesto e canto si rivelano rigorosamente intessuti. Inoltre, l’assopirsi implica una condizione di cessazione momentanea della coscienza, che svela alcune analogie con la morte.

Roberto De Simone (1933) asserisce, infatti, che «l’atto dell’essere cullato però rimanda all’immagine della culla vissuta culturalmente anche come barca con tutti i significati associati al mare e alle barche. E allora per tali associazioni il dondolio e l’oscillazione ritmica si ricollegano alla nascita e invariabilmente alla morte». Egli ha rilevato l’identica articolazione strutturale nelle ninne nanne e nei lamenti funebri registrati sul campo nel meridione, sottolineando che il dondolio rimanda a una fase istintiva, atta a manifestare la vita e a simboleggiare l’atto sessuale.

In tal senso, le ninne nanne rievocano l’antico rito magico dell’incantamentum, fornendo effetti rasserenanti degli stati emozionali inconsci. Ernesto de Martino evidenzia che l’incantesimo del sonno è il momento magico delle ninne nanne. Nel mondo lucano delle sue ricerche, il sonno e la nottata raffigurano un momento avverso per i bambini, da superare ricorrendo al mondo magico-religioso. Oltre a tale funzione c’è quella di socializzazione/inculturazione linguistica e musicale, dal momento che il canto divulga i dati basilari dell’idioma e dei suoni. Inoltre, per la donna che canta, le ninne nanne creano uno spazio d’espressività femminile, fatto non solo di letizia ma anche di rabbia e malcontento; un ambito dove liberarsi dalle angosce e manifestare i propri stati d’animo annessi alle proprie condizioni di vita.

La preferenza dei temi delle ninne nanne va dall’invocazione al sonno, al tema augurale, all’argomento religioso, mostrando anche elementi della quotidianità, come ad esempio le canzoni moderne. Ernesto de Martino sostiene che «formalmente le ninne nanne appaiono ricolme di elementi cattolici: la sacra famiglia e i santi, ma, in modo particolare la Madonna, vi appaiono continuamente sia per aiutare la madre a incantare il sonno, sia per assicurare efficacia al contenuto spesso augurale dei vari distici chiuse».

Nella tradizione orale napoletana, il sonno è una tematica ampiamente presente: simboleggia caratteristiche a volte di tipo umano, a volte di tipo soprannaturale. È un protagonista sfrontato: la mamma lo invoca ma esso indugia a palesarsi. «Nonna nonnòooooo./Aggio mannato lu suonno a chiammare e m’ha mannato a di’ ca mo’ veneva./Quanno ce vene lu voglio pavare/le voglio dare ’na muneta d’oro». In questo brano la donna auspica di pagare il sonno con una moneta d’oro. In alcune varianti il sonno è raffigurato come un angelo che addormenta i bambini accarezzandoli in fronte con una sfera d’oro. L’icona della Madonna bambina, cullata dalla mamma, Sant’Anna, è venerata principalmente nella religione popolare. Siffatta ninna nanna ha una struttura narrativa che rievoca la natività di Maria in un contesto relazionale mamma-bambino. «Nonna nonnòooooo./Quanno Sant’Anna cantav’ a Maria quante belle canzune le diceva./E le diceva: adduòrmete, Maria, Maria che era santa, s’addurmeva./E le diceva: adduòrmete, Dunzella,/Tu si’ la mamma de li bbirginelle./E le diceva: adduòrmete, Signora,/Tu si’ la mamma de lu Salvatore ».

Le ninne nanne napoletane esprimono, inoltre, un’antinomia tra la durevolezza delle tematiche e le informazioni soavi della voce; racchiudono sembianze intimidatorie, in primis la minaccia della morte esercitata da una bestia famelica, che nella tradizione popolare meridionale è raffigurata dal lupo, in quanto animale che imprime paura. Il lupo simboleggia, anche fuori dall’ambiente contadino, il rischio, il corrispettivo dell’orco o di altri personaggi che incutono paura. Il bimbo, invece, è comparato a una pecorella inerme, divenendo preda del lupo, determinando così l’assimilazione bambino-animale. «Nonna nonnòoooo./E fa la nonna e fa la nunnarella, ’o lupo s’ha magnat’ ’a pecurella./E pecurella mia, cumme farraie quanno ’mmocc’ ’o lupo te truvarraie?».

Tale filastrocca è frequente nelle ninne nanne: per addormentare il bambino, lo si impaurisce con angosce infantili, tra cui quella d’essere ripudiato, indifeso dalla madre in circostanze terrificanti. In questi versi s’illustra sia uno scenario di morte sia di durezza: il lupo, inoltre, può assumere fisionomie erotiche, giacché è reputato un predone sessuale e impersona l’eros nel proprio atteggiamento brutale. Inoltre, questa ninna nanna acquista qualità didattica, al fine di preparare il bambino all’ardua concretezza dell’esistenza. Il sincronismo di suono, canto e gesto, tipico delle ninne nanne, porta con sé fondamentali essenze culturali e simboliche, perché immette il bimbo sia in una zona protetta sia in uno spazio culturale. Il gesto accorda la voce materna e guida a un dondolio ritmato che è di andata e ritorno, di separazione e riavvicinamento; un moto che rinfranca e trasmette fiducia. «Per questo spazio e per questo moto sicuro al pari dell’orbita di un pianeta, conquistammo la prima possibilità culturale – e non soltanto biologica – del sonno umano, appunto perché la dolce cantilena ci assimilava ai ritmi cosmici dominati dall’eterno ritorno», attesta Ernesto de Martino.