È intensa l’attività artistica di Nils Wogram, trombonista tedesco quarantaquattrenne, impegnato da molti anni a fare jazz su vari fronti. Oltre al nuovo cd Luxury Habits realizzato con il proprio gruppo Root 70, ha girato l’Europa per concerti in duo con i pianisti Bojan Z. e Florian Weber da quando ha smesso di lavorare con il partner abituale Simon Nabatov. Se a questi ultimi si aggiungono anche il duo con la cantante Saadet Turkoz e quello con un altro trombonista (Conny Bauer), Nils può vantare addirittura sette progetti in contemporanea, vista la titolarità di esperimenti come Nostalgia Trio, Nils Wogram Septett e Vertigo Trombone Quartett, con il desiderio di continuare sempre in coerenza «il lavoro con le mie band e sviluppare il minimo suono in ogni ensemble».

Nils, parlaci anzitutto del progetto Root 70 che è anche quello per il quale sei maggiormente noto in Italia.

La mia band Root 70 esiste ormai da 16 anni. Abbiamo registrato finora 7 album. A un certo punto abbiamo iniziato una serie di lavori che possiamo definire «concettuali», dove ci siamo concentrati su determinati soggetti musicali. Il migliore per me resta il penultimo Riomar dove abbiamo invitato tre suonatori di archi dal forte afflato romantico, emotivo. E con Riomar è la prima volta che il quartetto Root 70 invita musicisti ospiti.

Come vedi quindi la commistione fra archi, fiati, ritmica nel jazz proprio a partire dai suoi esperimenti?

In Riomar ho cercato di trovare un suono che formi un’unità fra tutti i musicisti piuttosto che limitarmi mettere una jazz band e un classico trio di archi una accanto all’altro. La musica è principalmente ispirata da luoghi e storie. Attraverso le composizioni, gli archi conferiscono all’intero progetto un tocco sia romantico che drammatico. Il risultato mi è sembrato subito decisamente affascinante.

Come sei diventato jazzista?

Mio padre è un trombonista per hobby, ma ha compiuto ricerche sugli strumenti musicali. Ha una grande collezione di dischi così ho avuto accesso al jazz molto precocemente, sin da piccolo. Il trombone mi ha affascinato sin dal primo momento, e mi è piaciuto così tanto suonarlo che ho deciso di diventare un «professionista». Ma in realtà ad ispirarmi non è stato solo il jazz ma i musicisti che lo suonano. Restavo incantato leggendo le loro vite sul retro delle copertine dei vecchi vinili…

Qual’è il primo ricordo che hai del jazz? 

Seduto di fronte ai miei genitori mentre manovro lo stereo e controllo i dischi. C’era tanto da scoprire. Ricordo come la musica mi toccasse e mi facesse battere il cuore.
Anche se dall’ascolto di dischi e concerti sembri assorbire e rielaborare parecchie influenze, hai dei musicisti a cui ti ispiri?
Sono convinto che si dovrebbero prendere a modello i migliori artisti della storia della musica, anche per il ruolo formativo che esercitano. Da quando sono cresciuto con il jazz tradizionale sono rimasto un grande fan della tradizione e fino ad oggi i miei tre più grandi eroi sono Miles Davis, John Coltrane e Duke Ellington. Lasciami spiegare perché proprio loro…

D’accordo, iniziamo con Davis… 

Miles è stato il miglior leader di piccoli gruppi e un vero innovatore. Ha sempre avuto un ottimo fiuto nello scegliere gli orchestrali giusti per la sua band, capaci di usare il proprio talento in quelle particolari combinazioni musicali da lui inventate. Miles lasciava spazio ai comprimari, fornendo indicazioni semplicemente con uno sguardo…

John Coltrane?

Trane è il musicista più spirituale e serio che abbia mai ascoltato. Ha subito diverse umiliazioni durante la sua carriera, e per me resta un modello assoluto per come concentrarsi sull’arte, sulla realtà e sullo spirito senza farsi distrarre da logiche commerciali. Era poi un autentico virtuoso al sax tenore e al soprano.

E il ‘Duca’?

Duke Ellington era un gentiluomo che amava con la musica intrattenere la gente, rispettare la tradizione e tuttavia creare qualcosa di nuovo e di personale. Il suo understatement e la sua personalità limpida e amichevole sono qualcosa che vorrei raggiungere anch’io.

Ma a livello di trombonisti chi ti ha influenzato maggiormente?

Posso solo dirti che i miei «eroi» rispondono al nome di Jimmy Knepper, J.J. Johnson e Curtis Fuller. Ma sono stato soprattutto influenzato, come compositore da Ellington, Hermeto Pascoal, Frank Zappa, Gil Evans, Charles Mingus, Django Bates, George Russell e da un autore classico come Alban Berg.

Fra i trenta album a tuo nome quali reputi i più riusciti? 

Credo che Riomar sia uno dei più riusciti perché ho fatto esattamente quello che volevo fare, senza pensare a chi possa piacere o meno. Anche i suoni sono molto buoni: un grande salottino e la musica registrata con apparecchiature analogiche d’epoca che conferiscono all’intero progetto cosa un grande calore. Un’ottima prova dei miei Root 70 si trova anche nell’album Root 70 on 52nd +/4 Street, una sorta di lavoro bebop con un sistema tonale speciale, dove l’ottava divisa per 24 invece di 12 toni. Con effetto nostalgia ho pure registrato, orientandolo verso il pop, Sturm und Drang. Non voglio autoincensarmi, ma mi piace anche ricordare il duo nel cd Moods and Modes e quello con il mio sestetto Complete soul.

Come vedi il presente del jazz?

Il jazz è diventato nel corso degli ultimi anni uno stile estremamente diversificato. Personalmente vedo lo spirito autentico del jazz nel suo carattere improvvisato e nel profondo rispetto verso la tradizione anche recente. Mi piace la musica personale, piuttosto che la musica che cerca di seguire le mode, rincorrendo magari suoni e arrangiamenti forzatamente «moderni». Se fai qualcosa di personale sarà automaticamente qualcosa di nuovo perché non c’è nessun altro come te. E proprio per questa sragione, cerco sempre di comporre materiali che io stesso vorrei sentire per primo da ascoltatore. Molti musicisti si differenziano tra la musica che si sente in casa e la roba che fanno. Non trovo affatto sia la giusta modalità di approcio, perché il jazz dovrebbe trasportare un umore e un carattere di estrema chiarezza. Ma sono ottimista e convinto che a breve assisteremo a una rinascita della melodia e delle passioni nel jazz.