In Epiro c’è un sito archeologico che porta il ricordo di una battaglia epocale, fra le più memorabili del mondo antico. Actia Nicopolis o Nikòpolis – la città della vittoria di Azio – è la prima fondazione di (Ottaviano) Augusto, che volle così celebrare il trionfo del 31 a.C. su Antonio e Cleopatra. Nell’area dove si era accampato il suo esercito, tra il Mar Ionio e il Golfo di Ambracia, il neo princeps destinò floride zolle di terra ai veterani. Il procedimento del sinecismo, che vide gli abitanti delle principali città dell’Epiro e dell’Acarnania trasferirsi in quel luogo, rivela anche l’intrinseca origine greca di Nikòpolis.
Dal 67 d.C., grazie al favore degli imperatori, il nuovo centro divenne capitale della Provincia romana d’Epiro, ruolo che conservò fino ad età tetrarchica quale fulcro dell’Epirus Vetus. Il terremoto del 375 d.C. e le successive invasioni gotiche del 397, 475 e 551 non riuscirono ad abbattere la Colonia Augusti Actium, che anzi beneficiò di un programma di rinnovamento sotto Giustiniano. Al tempo in cui fu assediata dai Bulgari (X secolo d.C.) Nikòpolis era già ridotta a un villaggio e il metropolita e lo stratega si erano spostati a Naupatto.

Quando nell’Ottocento i primi viaggiatori giunsero in questa parte dell’Ellade s’imbatterono nelle rovine di un sito ripetutamente spoliato. Il danese Peter Oluf Brøndsted annotò che un grande numero di colonne di marmo nonché di preziosi elementi architettonici erano stati rimossi per ordine del visir Ali e reimpiegati nella costruzione di palazzi e moschee a Préveza. Brøndsted aveva preso parte agli sterri di Ali Pasha di Ioannina, un uomo particolarmente avvezzo alla «caccia al tesoro». A Nikòpolis, tra il 1435 e il 1436 era arrivato anche l’umanista Ciriaco de’ Pizzicolli, pioniere dell’antiquaria, il quale commise l’errore di identificare il sito con l’ammaliante santuario oracolare di Dodona.

Fu solo nel 1913, nove mesi dopo la liberazione dell’Epiro dai Turchi, che la Società archeologica di Atene avviò i primi scavi. A condurli era Alessandro Filadelfo, archeologo-pittore che dedicò la maggior parte della sua carriera a tale impresa. Ma nella storia degli studi su Nikòpolis c’è anche l’impronta italiana: nel 1940 gli architetti Augusto Baccin e Vittorio Ziino – membri della Scuola archeologica italiana di Atene – pubblicarono mappe e osservazioni sulle strutture di epoca romana. In anni recenti e fino alla trasformazione in parco archeologico, le ricerche a Nikòpolis sono state portate avanti da studiosi greci con la collaborazione di istituzioni straniere quali l’università di Boston. L’edificio simbolo è adagiato sul pianoro di Michalìtsi, dove lo storico Cassio Dione racconta che Ottaviano piantò la prima tenda. Si tratta di un imponente tropæum, un monumento commemorativo nella cui facciata furono affissi i rostri sottratti alle navi di Antonio.

Frammenti di un’iscrizione rinvenuti in situ attestano che vennero consacrati a Nettuno e Marte, divinità protettrici di Agrippa, ammiraglio della flotta, e dello stesso Ottaviano. Alle pendici della cosiddetta collina dei rostra si trova un teatro, oggetto di restauri moderni e il quale dovette ospitare gli Aktia, gare ginniche e musicali di cadenza quadriennale in onore di Apollo. Un altro edificio destinato a spettacoli, l’odèion, è stato rinvenuto entro il tracciato murario giustinianeo.
Nikòpolis è nota inoltre per le numerose necropoli. Il solo Filadelfo osò rompere i sigilli di centocinquanta sepolture, le cui anime viaggiano ora nel vento d’Epiro.