Mentre a Damboa (a 85 km dalla capitale del Borno, Maiduguri) sventola bandiera nera, quella degli islamisti di Boko Haram, il presidente nigeriano ha incontrato ieri presso il palazzo presidenziale di Abuja i genitori delle 219 ragazze rapite da una scuola di Chibook il 14 aprile scorso (51 successivamente sono riuscite a scappare). Si è trattato del primo incontro con le famiglie, che da tempo chiedevano un faccia a faccia con Jonathan, accusato da più parti di non aver gestito adeguatamente non solo il sequestro, ma anche la più generale «sicurezza» nel Paese.

Ai genitori che hanno lasciato la sala senza mostrare alcuna emozione il presidente ha promesso: «Il nostro impegno non è solo quello di liberare le ragazze, ma anche quello di sgominare completamente Boko Haram dalla Nigeria. Ma siamo molto, molto attenti alla sicurezza delle ragazze. Vogliamo che ritornino tutte vive dai loro genitori». Con Jonathan, circa 177 persone, tra le quali i ministri dell’istruzione e della finanza, il consigliere per la sicurezza nazionale, il presidente del senato David Mark e il governatore dello stato del Borno, Kashim Shettima che non ha risparmiato critiche contro la presidenza e il governo.

L’invito rivolto a Jonathan da parte dei genitori delle studentesse era stato quello di negoziare con i qaedisti la richiesta di uno scambio delle ragazze con miliziani di Boko Haram attualmente detenuti. Richiesta fino ad ora respinta dalle autorità nigeriane. L’incontro è parso più una mossa propagandistica, poco felice, per cercare di scalfire le critiche anti-governative. Perché allo stato dei fatti, non sembra che la presidenza nigeriana abbia risposte concrete da dare alla sua gente. Così, mentre il governo di Jonathan cerca una via d’uscita politico-elettorale in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2015, nei giorni passati a cadere nelle mani di Boko Haram è stata una città chiave del nord-est della Nigeria: Damboa.

Una delle più grandi dello stato del Borno e un centro commerciale meta di persone provenienti dai villaggi vicini. Oltreché gateway verso la foresta di Sambisa dove si presume siano nascoste le ragazze rapite. Secondo quanto riportato da Abdulkair Ibrahim, un portavoce della National Emergency Management Agency (Nema) del Borno, sarebbero almeno 40 le vittime provocate dell’attacco lanciato venerdì e sabato scorsi da squadre di Boko Haram e circa 15 000 i residenti fuggiti da Damboa e dai villaggi poco distanti di Kimba, Madaragrau, Mandafuma, Chikwar Kir, Bomburatai e Sabon Kwatta.

Pressato dalla stampa su testimonianze di vigilantes e residenti locali secondo cui l’esercito avrebbe abbandonato l’area lasciando che Boko Haram prendesse il controllo di Damboa e issasse la bandiera all’entrata della città, il portavoce della Difesa, il maggiore Chris Olukolade ha negato e sostenuto: «Non cederemo nessuna porzione di questo paese a nessun gruppo terroristico».

Difficile a credersi, la Nigeria è ormai quotidianamente alla mercè non solo di Boko Haram, ma delle sue stesse forze politiche e militari che contribuiscono a destabilizzare l’economia del Paese e la sicurezza delle popolazioni civili tanto quanto ogni altro gruppo armato di estremisti.

E nel tentativo di guadagnarsi il favore dell’opinione pubblica interna e internazionale, il governo di Johanatan ha firmato a giugno scorso un contratto del valore di più di 1,2 milioni di dollari con una società di public relations di Washington DC, la Levick, che lavorando per il governo nigeriano attraverso un’agenzia di proprietà statale, sarà retribuita almeno 75 mila dollari al mese.

Secondo quanto riportato dal The Hill, l’azienda, oltre a fornire servizi di consulenza in ambito comunicativo aiuterà il governo negli sforzi di «mobilitare il sostegno internazionale nella lotta contro Boko Haram come parte della più grande guerra globale al terrore». La campagna elettorale per le presidenziali del 2015, è insomma già iniziata.