Probabilmente contro ogni aspettativa, Boko Haram si è rivelato protagonista di spessore sì ma capace di dominare più la scena politico-sociale pre-elettorale che la tornata elettorale nigeriana del 28 e 29 marzo. Quest’ultima, quasi un referendum sul presidente uscente Goodluck Jonathan che sugli insuccessi militari e politici contro corruzione, povertà e lotta a Boko Haram ha perso la sfida con il suo maggior rivale, l’ex dittatore Muhammadu Buhari. Stesse problematiche sulle quali si misurerà l’amministrazione del neo-eletto presidente che a dispetto del suo passato politico e militare è riuscito, per la prima volta in Nigeria, a guadagnarsi la presidenza attraverso una consultazione elettorale.

Un’escalation virale di violenza ha costellato gli ultimi mesi a ridosso del 2014 e gli inizi del 2015, rivelando quasi un’epifania costante della metamorfosi di Boko Haram da gruppo terroristico locale a organizzazione jihadista transfrontaliera e alleato deciso dell’Isis (in grado di estendere la sua azione di forza contro i civili dai villaggi rurali delle regioni del nord-est della Nigeria ai centri urbani delle aree centrali fino ai confini con gli stati limitrofi e oltre le frontiere con Camerun, Ciad e Niger).

Le accuse o insinuazioni reciproche tra gli esponenti dei due maggiori partiti nigeriani – il People’s Democratic Party (Pdp) e l’All Progressives Congress (Apc) – di connivenza con Boko Haram hanno reso quest’ultimo il loro maggior sponsor e l’attore principale dell’ultima campagna elettorale.

«Boko Haram non è riuscito a disturbare lo svolgimento delle elezioni» presidenziali e legislative in Nigeria, ma “sebbene indebolito, il gruppo continua a commettere atti orrendi contro i civili, incluse donne e bambini». E la recente alleanza con l’Isis è altresì preoccupante in quanto rappresenta «un chiaro segnale che l’agenda di Boko Haram va ben oltre la Nigeria». A sostenerlo davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu riunitosi lunedì mattina per discutere le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate dal terrorismo jihadista, è stato Mohamed Ibn Chambas, a capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per l’Africa Occidentale (Unowa).

Un approccio militare da solo non basterebbe a contenere la minaccia Boko Haram, ha aggiunto Chambas sottolineando l’obbligo della comunità internazionale di aiutare i Paesi della regione ad affrontare le sfide sociali, economiche e politiche legate a Boko Haram.

Secondo Kyung Wha-Kang dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari «le scuole nel nord-est della Nigeria non sono più luoghi sicuri di apprendimento poiché molte continuano ad essere attaccate, saccheggiate e distrutte. Anche in Camerun e in Niger, diverse scuole nelle zone colpite da Boko Haram rimangono chiuse».

Stando ai dati forniti dall’Onu, Boko Haram ha provocato decine di migliaia di profughi, rimpatriati e sfollati interni in Ciad, Camerun e Niger. 7.300 persone sono state uccise da Boko Haram dall’inizio del 2014 nei tre stati in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza, di cui 1000 solo quest’anno, più di 300 scuole sono state danneggiate o distrutte e meno del 40 per cento delle strutture sanitarie della zona sono operative.

A questo si aggiunga che dalla fine di luglio 2015 ben tre milioni di persone nel nord della Nigeria non sarebbero in grado di soddisfare i propri bisogni alimentari di base senza aiuti umanitari e che d’altro canto l’opera delle autorità federali e statali non si è rivelata sufficiente al riguardo.