Cosa accadrà adesso in Yemen. L’interrogativo aleggiava ieri dopo il fallimento della trattativa per il prolungamento del cessate il fuoco tra il governo yemenita riconosciuto internazionalmente e appoggiato dalla Coalizione militare a guida saudita, e Ansarullah, i ribelli sciiti Houthi che controllano la capitale Sanaa. «La tregua è terminata il 2 ottobre e già si segnalano scontri nella zona di Taiz ma la previsione è che, per ora, le due parti non torneranno a farsi una guerra totale» dicevano ieri al manifesto fonti internazionali in Yemen. «D’altronde la guerra non si è mai fermata – hanno aggiunto -, sia pure a bassa intensità è proseguita lungo tutta la linea del fronte ed è probabile che vada avanti così. Conta anche la contrarietà della popolazione a una guerra che ha ridotto alla fame milioni di persone e provocato molte migliaia di morti. La tregua aveva messo fine ai massacri e consentito il rientro a casa a tanto sfollati».

Tuttavia, avvertono le fonti, «una cosa è quello che vogliono gli yemeniti e un’altra sono gli interessi delle potenze regionali, come l’Arabia saudita alleata del governo riconosciuto e l’Iran sponsor dei ribelli sciiti».

E i fermenti nella regione certo non mancano, a cominciare dal mancato raggiungimento dell’intesa per il rilancio dell’accordo Jcpoa sul programma nucleare iraniano. Israele, esercitando forti pressioni sulla Casa Bianca, è riuscito a far irrigidire gli Stati uniti mentre a Teheran i sostenitori della linea dura hanno avuto il sopravvento su chi sarebbe favorevole a maggiori concessioni pur di ridare vita al Jcpoa e a mettere fine alle sanzioni che colpiscono l’economia dell’Iran. E poi c’è la questione dell’energia, del petrolio e del gas dello Yemen, un affare del valore di miliardi di dollari che si inserisce nella affannosa ricerca dei paesi occidentali di fonti alternative a quelle russe.

L’esecutivo di Ansarullah ha giustificato l’irrigidimento della sua linea e la mancata estensione del cessate il fuoco con il «vicolo cieco» creato dalla riluttanza di Riyadh e dei suoi alleati a revocare il blocco e alleviare la grave crisi umanitaria. «Durante i sei mesi della tregua, non abbiamo visto alcuna serietà nell’affrontare il fascicolo umanitario» aveva avvertito qualche giorno fa uno dei negoziatori degli Houthi lasciando presagire la fine del cessate il fuoco. In realtà la questione centrale per i ribelli è l’impossibilità del gruppo sciita di controllare la produzione e l’esportazione di gran parte del greggio.

Ansarullah ha più volte denunciato quello che definisce il «furto» da parte della Coalizione delle risorse petrolifere nazionali per un valore di circa un miliardo di dollari. E il capo del Consiglio politico supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, è arrivato a lanciare un pesante monito alle compagnie petrolifere internazionali operanti nel paese, invitandole a «smetterla di saccheggiare la ricchezza sovrana dello Yemen».

Yahya Sarea, portavoce militare degli Houthi, ha rincarato la dose affermando che fino a quando i Paesi aggressori non si impegneranno in una tregua che dia al popolo yemenita il diritto di sfruttare la propria ricchezza petrolifera», le forze di Ansarullah «saranno in grado di privare sauditi ed emiratini delle loro risorse». In pratica droni e missili Houthi torneranno a colpire Riyadh e Abu Dhabi.