Renzi ha provato a spiegare che nel nuovo Def «non ci sono né tagli né tasse», ma per il momento né Comuni e Regioni, e neanche i consumatori, sembrano farsi persuadere. Il premier ha presentato ieri documento di economia e finanza che verrà varato venerdì mattina, con un nuovo consiglio dei ministri, in accoppiata al Piano nazionale delle riforme. La parola che va di moda quest’anno è «prudenziale»: il presidente del consiglio ci tiene a sottolineare che la previsione di crescita del Pil (uno degli indicatori più attesi) è stata tenuta volutamente “bassa”, o «prudenziale» appunto, proprio per evitare le consuete smentite e correzioni al ribasso a cui siamo abituati ormai da anni.

Ma soprattutto restano molto preoccupati sia i sindaci che i governatori, perché il generico termine di spending review da cui si dovrebbero ricavare svariati miliardi, per il momento rimane piuttosto oscuro. Dove andrà a tagliare la scure? Critiche vengono da tutte le opposizioni, e da una parte della minoranza Pd, dai Cinquestelle a Forza Italia, fino alla Lega. Sta nelle cose, ma l’argomento è utilizzato da una parte e dall’altra vista l’incombenza delle elezioni regionali, con una speciale attenzione ai territori, alle tasse locali e al welfare.

Ecco comunque i numeri, alcuni circolavano da giorni, ma ieri sono stati “ufficializzati” dalla presentazione di Renzi e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: il Pil crescerà, nei quattro anni dal 2015 al 2018, rispettivamente dello 0,7%, 1,4%, 1,5% e 1,4%. Il primo dato, quello riferito al 2015, è solo lievemente migliorato rispetto allo 0,6% previsto nell’ottobre scorso, nonostante nel frattempo diversi fattori abbiano migliorato il contesto economico (indebolimento del dollaro, deprezzamento del petrolio, Qe di Draghi).

Quanto al deficit, secondo le stime del governo si manterrà sempre sotto il 3%: nei quattro anni sarà al -2,6%, -1,8%, -0,8% e 0, confermando quindi che il pareggio di bilancio slitta di un anno, dal 2017 al 2018. Inoltre si conferma l’intenzione, sia per quest’anno che per il prossimo, di ricorrere alla “flessibilità” concessa dalla Ue, sempre e comunque uno 0,5%, quando sia possibile e previa autorizzazione da Bruxelles, rimanendo sotto la soglia del 3%.

Il debito pubblico nelle previsioni è anch’esso destinato a scendere, ma più per la sperata maggiore crescita, che non per una vera e propria riduzione dello stock (da 132,5% del 2015 al 123,4% del 2018, passando per 130,9% e 127,4% di 2016 e 2017). Le privatizzazioni, seppure vengano portate avanti – Padoan ha elencato: «Poste, Enel, Fs, Enav» – sembrano però subire una frenata. Il ministro dell’Economia ha infatti annunciato un programma «pari all’1,7-1,8% del Pil nei quattro anni», quando invece nell’ultima previsione dell’ottobre 2014 si stimava almeno un 2,8% («0,7% l’anno»).

E se Stefano Fassina, a nome dei più critici del Pd parla di «manovra recessiva», allarme condiviso anche da Sel, i Cinquestelle arrivano alle citazioni letterarie («Renzi, il buio oltre le slide»), mentre Renato Brunetta (Fi) accusa il premier di essere uno smemorato che «racconta balle», «visto che nel 2014 la pressione fiscale è aumentata di un decimale». Ma sono i sindaci ad apparire più preoccupati, e dopo i timori espressi dal presidente Anci, Piero Fassino, Guido Castelli, delegato per la finanza locale, taglia corto: «Mi sembra confermato che la formula che utilizza il premier Renzi è sempre la stessa, e cioè scaricare la macelleria sociale sui sindaci». Un incontro con Renzi è previsto per giovedì.

A complicare le cose, soprattutto per le città metropolitane, è stata la distribuzione dei tagli ratificata il 31 marzo in una Conferenza Stato-Città, che ha fissato un taglio per il 2015 di quasi 260 milioni di euro.

Nella lunga lista dei preoccupati figura anche il governatore della Toscana Enrico Rossi (Pd). «Leggo che si parla di tagli alla sanità e ai trasporti», ha affermato, e «è giusto che a fronte di una diminuzione della ricchezza non si possa aumentare le tasse», «ma dico attenzione, perché altrimenti a rischio non ci sono i Comuni o la Regione ma i servizi dei cittadini». Per Luigi Di Maio (M5S), per il quale «Renzi è arrivato a Palazzo Chigi dicendo di voler fare il Sindaco d’Italia, ma appena insediatosi al governo ha fregato tutti gli altri Sindaci, tagliandogli 8 miliardi di euro a dicembre e 2 miliardi in queste ore».

Il presidente del consiglio Renzi però ribadisce che «non ci saranno né tagli né tasse» e che è «pronto a un confronto all’americana con i sindaci». E cerca di rassicurare anche il nuovo commissario alla spending, Yoram Gutgeld: «Garantiremo un’allocazione più equa delle risorse».