Alla fine, la politica dei «piccoli passi» diplomatici, annunciata dal presidente iraniano Hassan Rohani, non ha portato alla ventilata stretta di mano tra lui e l’omologo Usa Barack Obama. All’Assemblea generale delle Nazioni unite, in corso a New York fino al 1 ottobre, Rohani ha però incontrato l’omologo francese François Hollande, unico fra i dirigenti occidentali. Iran e Usa hanno ancora troppi conti in sospeso: oltre mezzo secolo di una storia di ingerenze e rappresaglie, difficile da elaborare. Obama ha detto che il suo paese è pronto a far fronte alle armi nucleari iraniane e a uccidenre a colpi di drone tutti i nemici degli Usa, ma non a imbarcarsi in interminabili missioni militari, in Siria o in altri paesi sconvolti da conflitti interni: «Gli Stati uniti – ha affermato – hanno duramente appreso l’umiltà per quel che riguarda la nostra capacità di determinare il corso degli avvenimenti in altri paesi».
L’Iran ha inteso le aperture. Il discorso di Rohani, molto dopo quello dell’omologo statunitense, ha messo l’accento sulla volontà di pace da parte iraniana: «Il giorno di oggi è pieno di paura e di speranza – ha detto -: paura della guerra, dell’estremismo, della povertà, della decadenza e della distruzione delle risorse che permettono di mantenere la vita». Speranza «per l’universale accettazione di un sì alla pace e un no alla guerra, per il dialogo e la moderazione dell’estremismo».
Seppur salutandosi con un reciproco sorriso di circostanza, Parigi e Tehran si sono invece parlati, a porte chiuse, per una quarantina di minuti. Un incontro «cortese» e un dialogo «franco e diretto», secondo la delegazione francese. Hollande ha poi dichiarato di aspettarsi che le parole di Rohani «si traducano in fatti», che si arrivi a «risultati rapidi» e sotto il controllo internazionale per quanto riguarda il programma nucleare di Tehran. L’Iran, ha invece diplomaticamente commentato che si augura «un futuro migliore» per le relazioni fra i due paesi. Sulla questione del nucleare iraniano, oggi è prevista una riunione tra il nuovo ministro degli Esteri di Tehran e i suoi omologhi delle grandi potenze.
Rohani ha detto all’Onu che il suo paese «è un’ancora di stabilità in un mare di instabilità e che non rappresenta nessuna minaccia per il mondo». E, a proposito del nucleare ha ribadito: «Il programma nucleare dell’Iran, come quello di altri paesi, debe avere fini pacifici, sempre sarà così nella nostra repubblica. Non c’è posto per le armi nucleari nella dottrina militare dell’Iran».
Quanto alla crisi siriana, che Parigi vorrebbe risolvere con un intervento militare, Hollande ha insistito sulla necessità di «un governo di transizione», Rohani si è augurato «che la guerra finisca» e si è detto disponibile ad adoperarsi per una nuova conferenza internazionale di pace, definita Ginevra 2. Un incontro comunque «storico» secondo Parigi, otto anni dopo quello tra Jacques Chirac e il riformatore Mohammed Khatami, che si tenne nel 2005 a Parigi, a margine di una manifestazione dell’Unesco (l’organizzazione dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura).
E mentre il ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle si è felicitato per il «tono nuovo» di Tehran, e ha dichiarato che le parole del nuovo presidente erano «incoraggianti», Israele – l’unica potenza nucleare della regione – ha boicottato il discorso di Rohani, considerando insufficiente la condanna dell’Olocausto «compiuto dai nazisti contro gli ebrei» (nelle parole di Rohani). Il ministro degli Esteri palestinese, Ryad al Malki ha invece accolto con favore il riferimento di Obama all’occupazione delle terre palestinesi precedente il 1967 come base per la ripresa dei negoziati con Israele. «Questa nozione di territorio occupato è superflua dal nostro punto di vista», ha dichiarato invece il ministro degli Esteri israeliano Youval Steinitz, riferendosi alle parole di Obama in merito alla «Cisgiordania occupata». Netanyahu parlerà all’Onu il 1 ottobre.