Da qualche parte, nel coro che immediato si è alzato dopo la notizia dell’esclusione di A Ciambra dalla shortlist per gli Oscar al miglior film straniero, ricorre un aggettivo: «popolare». E scivola tra gli immancabili «era-meglio-questo-era-meglio-quello-l’avevamo-detto noi» che ugualmente si sono inseguiti qua e là. Francamente scorrendo l’elenco dei nove film che ne fanno parte si fa fatica a accordare «popolare» con la maggioranza di essi, per esempio con quel capolavoro che è On Body and Soul (uscirà nelle sale italiane il 4 gennaio, speriamo non solo nella versione doppiata) di Ildiko Enyedi, tra l’altro anche l’unica regista donna del gruppo in un rapporto 1 a 9, che per girarlo ci ha impiegato dieci anni – il precedente Tamàs and Juli era del ’97 – mantenendo però, a quanto dimostra il risultato, una decisa e appassionata coerenza di progetto.

On Body and Soul  lo scorso anno ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale e nessuno si è «scandalizzato», cosa che probabilmente sarebbe accaduta de avesse vinto a Venezia, dove quando il Leone d’oro lo ha avuto La donna che è partita di Lav Diaz il malumore (italico) è stato diffuso: ma come, premiare un film in bianco e nero di un regista filippino che dura quattro ore, per carità (in più il film è rimasto «intrappolato» in disastri distributivi ma sembra che finalmente uscirà).

Figuriamoci la storia d’amore a distanza tra una giovane e un uomo un po’ malmesso in un mattatoio, che si inseguono e si corteggiano in sogno con le sembianze di cervi – On Body and Soul – in quello che è una splendida incursione nel desiderio e nelle sue possibili declinazioni oggi.
Ma torniamo a A Ciambra. Non ce l’ha fatta, ed è un peccato così come non ce l’ha fatta 120 battiti di Robin Campillo entrambi film molto più vivi di furbizie stilistiche come il Foxtrot indigesto di Samuel Maoz. Questione di gusti, di equilibri probabilmente, di strategie, di mercato, chissà. E del resto non è che sempre l’Oscar lo vincono i film migliori (come dimenticare la scandalosa esclusione dai premi di un film straordinario quale Vizio di forma di Paul Thomas Anderson?).

La commissione (Felice Laudadio, Malcom Pagani, Cristina Comencini, Francesco Piccolo, Federica Lucisano, Carlo Cresto-Dina, Nicola Maccanico e Nicola Borrelli) che ha indicato il film di Carpignano ha fatto comunque la scelta giusta. Perché A Ciambra è dentro la sensibilità contemporanea del cinema internazionale e soprattutto è un bel film, l’opera di un regista capace di guardare il mondo, di raccontarlo con uno sguardo personalissimo, che coglie dettagli e lavora sull’insieme, che non si lascia mai tentare dagli stereotipi, dal politicamente corretto. Eppure parliamo di Rom, anzi siamo in romanzo di formazione il cui eroe è un ragazzino rom, ma Carpignano scommette sul movimento dei suoi personaggi e non sul «contenuto», sulla loro forza, sulla spudoratezza del protagonista, incendiario proprio come il talento del regista.

Hanno scritto («Le Monde»). che Carpignano rappresenta l’eredità al presente del neorealismo nel modo in cui unisce il percorso morale di un personaggio e la rappresentazione di una condizione sociale di marginalità. Ma al di là dei riferimenti al nostro cinema, alla lezione rosselliniana – che c’è ed è importante – questo suo film (così come la sua candidatura) testimonia appunto un passaggio che avviene, sta avvenendo – nonostante tutto – anche da noi: un modo di fare (e pensare) il cinema che supera le divisioni tra i generi, gli obblighi della sceneggiatura o del soggetto «forte» – il topic – presente in questa opera come in altre ma sottomesso alla ricerca di una immagine, di una narrazione, di una sostanza sensibile, spiazzante. Forse ci dovremmo credere un po’ di più anche noi, commissione dell’Academy a parte.