«Nessuna bandiera di partito», e giustamente essendo una iniziativa “civica”. Ho visto più facce sorridenti di quante ingrugnite, domenica scorsa a Milano. Molte più di quante non ne abbia viste alla May Day Parade. Dove i sorrisi che pure c’erano (anche se maggioritari erano gli sguardi da dure e duri) sono stati agghiacciati allo scoppiare del primo petardone tirato alla polizia.

Mi sarebbe piaciuto vedere però, domenica, dietro al sindaco Pisapia, molte più spillette No-Expo, dei Gas, molti più segni che rivendicassero che la città è anche di tutte quelle organizzazioni che nei confronti di Expo hanno delle critiche più o meno forti e radicali da fare. Perché, ne sono sicuro, tra questi ci sono quelli che più di altri si prendono cura dei beni comuni. E la città è indubbiamente un bene comune oltre che una comunità.

E invece ce ne erano poche, perché i petardi e le vetrine rotte e le macchine bruciate hanno intimidito tutti, anche quelli, che erano tanti, in piazza sia il primo maggio che all’iniziativa del sindaco Pisapia.

Sbaglia, probabilmente perché si è limitato a guardare un video online, chi pensa che dietro a Pisapia ci fosse la “maggioranza silenziosa”, la “reazione”, la “milano bene” e radical chic. Come ha scritto bene Gian Marco Bachi di Radiopopolare su Facebook, «non c’erano gli snob dei piani attici che trovano i graffiti deliziosi, a patto che li facciano nel Bronx. Non c’erano le sciure della Milano bene con maggiordomo al guinzaglio e un set di ramazze intagliate dai migliori ebanisti nepalesi. Non c’erano i commercianti assetati di legge e Vetril che chiedevano l’introduzione della tortura per il reato di tag. Non c’era la movida del pulito che marciava fiera con il mocio in vista dell’apericena».

C’era semplicemente Milano. C’erano amici come Massimo Cirri che dal palco, stretto a Pisapia, ha rivendicato il suo essere criticissimo verso Expo e il suo amore per una città che non può e non deve essere precipitata, come qualcuno ha cercato di fare (con un largo consenso nel corteo) nel clima politico del 14 maggio 1977. C’erano tante persone di sinistra, tante persone normali. Insegnanti che sono poi tornati in piazza contro la scuola di Renzi, operai, disoccupati, casalinghe e precari. Tanti, di questi, perché tanti erano i ragazzi. Tutta gente che si da da fare per tenere insieme la vita, il lavoro, la scuola in cui oltre a mandare i figli deve portare la carta igienica e ogni tanto anche dare una mano di pittura. Persone, appunto, che tengono al bene comune. Non erano lì a sostenere Expo, che c’entrava come i cavoli a merenda. Erano lì per rivendicare la responsabilità di appartenere ad un collettivo che possiede un bene collettivo. I cittadini e la loro città.

E dobbiamo ringraziare chi l’ha inventata sottraendo e annullando ogni spazio politico per la destra. Anche perché, a ulteriore disgrazia di Salvini e dei suoi accoliti fascisti che il giorno dopo hanno miseramente fallito il tentativo di cavalcare l’onda della indignazione, c’erano anche tante persone che non erano né di Milano né italiane. Ma sentivano comunque loro quella città. Una bella manifestazione, insomma, che non protestava ma rivendicava, difendeva e proponeva una idea di città opposta a quella di Salvini e, ovviamente, anche a quella del “blocco nero”: l’idea che la città sia solo il terreno dello scontro e del conflitto usato non per ottenere qualche risultato politico (s’intende per politica ciò che cambia in un verso o nell’altro lo stato di cose presenti) ma per coccolare le proprie endorfine e vedersi esaltati nel ruolo di veri guerrieri, chi contro “il precariato” chi contro i “negher”.

Poi certo, Salvini mette a frutto il suo scontro di civiltà portandosi a casa un sacco di voti e di consenso. Mentre chi ha “combattuto” contro le macchine e i vetri e i muri di un pezzo di città (perché è stato chi ha gestito l’ordine pubblico a evitare a caro prezzo ogni scontro che avrebbe potuto spargere sangue, scontro che invece il “blocco nero” ha cercato in ogni modo) non vuole nemmeno ottenere nulla: Perché quella radicalità è nichilista, annienta ogni dialogo, ogni confronto e riduce ogni conflitto a gesta per nulla gloriose ma autoreferenziali e incomprensibili. Insomma non ha nulla a che fare con le radici, le ragioni e le pratiche della sinistra. O siamo ancora a pensare che sia utile godere mentre calano i passamontagna?