Con la vertenza degli «scontrinisti» sembriamo essere ripiombati negli anni più bui del lavoro: il contratto viene sostituito dalla presentazione dello scontrino, e non esistono tutele base (ormai riconosciute perfino ai precari: e ci mancherebbe) come la maternità e il pagamento dei contributi. Alessandra Rosati, ex lavoratrice della Nazionale e mamma di una bambina di due anni e mezzo, rappresenta perfettamente questa condizione.

Come gli altri tuoi 21 colleghi hai ricevuto lunedì sera l’sms di «licenziamento».

Sì, una situazione incredibile, direi quasi paradossale. Ma purtroppo l’abbiamo vissuta nella realtà. Un messaggino sul telefono mi informava che dall’indomani non sarei più dovuta andare al lavoro, perché la convenzione con l’Avaca era stata sospesa. È stata la stessa associazione a inviarmi questa comunicazione.

E adesso? Hai diritto a qualche sussidio di disoccupazione?

Assolutamente no. Noi per il mondo del lavoro italiano siamo nessuno, non ho messo da parte contributi per avere un sussidio. Io ho lavorato in biblioteca per quattordici anni, i primi quattro con un contratto, poi ci hanno passato al sistema dei rimborsi.

Quindi la vostra situazione è peggiorata. E non avete protestato a quel punto?

Ci dissero che la soluzione del volontariato sarebbe stata solo passeggera, che era un modo per conservarci comunque il nostro posto. E avendo bisogno abbiamo accettato. Poi la cosa si è prolungata per dieci anni, senza vedere mai un miglioramento. Dieci anni a raccogliere scontrini, a presentarli per avere 400 euro al mese.

Senza neanche il diritto alla maternità.

Io ho una figlia che oggi ha due anni e tre mesi. Sì, non ho potuto usufruire della maternità. Ma so anche che in quei dieci anni fatti al buio – con il volontariato a scontrini – non ho neanche messo da parte contributi per la pensione, e adesso mi ritrovo in mezzo a una strada perché non ho diritto neanche alla disoccupazione. Mi rendo conto che ho buttato al vento quegli anni di lavoro, che pure ho prestato per una struttura pubblica, una biblioteca.

Pensate di fare causa, come hanno fatto le tre «scontriniste» dell’Archivio di Stato?

Per il momento abbiamo aperto una vertenza sindacale, vogliamo risposte. Non è possibile cestinarci così dopo anni. Non possiamo neanche valorizzare il lavoro fatto a un eventuale concorso: eppure, partendo dalle nostre lauree, abbiamo poi maturato una professionalità. Ma è come se non esistessimo e dobbiamo ripartire da zero: che ci valorizzino almeno gli anni pregressi.

Perché, secondo te, avete raccolto tanta solidarietà?

Perché la nostra storia è il simbolo dell’Italia. Non possiamo andare avanti così: abbiamo visto che il volontariato e il precariato sono presenti anche in altre strutture, nei ministeri. Non lottiamo solo per un pezzo di pane, ma anche per la nostra dignità. E non siamo solo «ragazzi»: tanti di noi hanno già 40 o 50 anni, abbiamo famiglie e bambini. Siamo lavoratrici e lavoratori, questo ci devono riconoscere.