Ecco un album candidato ad essere forse il migliore dell’anno. Progettato in crowdfunding e realizzato da Gianni Maroccolo e da Claudio Rocchi (che purtroppo non ne vedrà la pubblicazione) in una prima versione «d’autore» all’inizio dello scorso anno e ora anche distribuito regolarmente, b23/nulla è andato perso è la summa del pensiero musicale di due protagonisti della storia della musica italiana e l’unione di mondi per anni inconciliabili: il folk-progressive dei ’70 e la new wave anni 80. Non tralasciando in elenco gli ultimi venticinque anni. Insomma, tra le loro braccia si stringono gli Stormy Six, Osanna e Aktuala, il Tofani indiano, e i Litfiba e i CCCP, Csi e PRG, Marlene Kuntz e Deproducers.
Come accennato Claudio Rocchi è morto, dopo una lunga malattia degenerativa, nel mese di giugno di due anni fa; Vdb23 però ha proseguito per la propria strada giungendo ad una distribuzione come la Warner forte sul piano commerciale per un prodotto nato «indie». Ciò non sia fuorviante perché l’album trova la sua ragione e forza nella tensione creativa sprigionata e condivisa in ogni sua fase sia da Rocchi che da Maroccolo. Di una delle sue canzoni, Torna con me, è stato girato un video. Il regista è Andreino Salvadori, attore-musicista-designer della Compagnia della Fortezza di Volterra, fiancheggiatore surreale di molte band della scena musicale toscana degli «anni zero». Il colloquio telefonico con Maroccolo comincia così: «Sì, Andreino …. Salvadori l’ho conosciuto ai tempi di A.C.A.U., il mio primo disco solista che radunava molti amici. E anche lì realizzò una specie di clip in cui appariva una carpa gigantesca. L’incontro con Claudio, invece, è stato abbastanza strano. Infatti, ero molto lontano dal mondo di Rocchi. Lui era addirittura un monaco. Ed invece siamo diventati amici. Molto amici».

Dunque, la musica di quegli anni ti interessava poco o per niente? 

Quando ho iniziato a suonare ascoltavo tutt’altro: new wave, musica elettronica; mi spingevo indietro fino a Frank Zappa, ma il progressive non lo seguivo né mi interessava.
Fino all’incontro con Rocchi? Si era creato un desiderio reciproco di conoscenza, di convivenza musicale. Ci si motivava reciprocamente. Si cercava una scintilla da cui poi poter cominciare a creare e far musica. Lui seguiva me ed io lui. Guardavamo e ascoltavamo moltissime cose, soprattutto su Youtube.

L’album sembra un’autobiografia per procura di un modo di intendere e fare musica. Un brano come «rinascere hugs suite» è il manifesto di tale pensiero? 

Avevamo l’idea di concentrare amici e artisti che fossero vicini a noi. Dicevamo è una cosa importante. Risposero Battiato, Piero, Massimo Zamboni, Cristina Donà, Cristiano e Emidio Clementi. Ad ognuno avevamo affidato un frammento della composizione. Toccò poi a me e a Claudio rimontare ogni singola porzione musicale registrata.

Avvertivi la differenza d’età?

Mi ha raccontato la sua vita. Ed io ho fatto lo stesso. Eravamo di due generazioni differenti, ma frequentandolo ho imparato molto. Tutti gli argomenti erano buoni per chiacchierare, ci accompagnava sempre il sorriso sia nell’affrontare discussioni complesse su religione e spiritualità sia su questioni più banalmente quotidiane. Ho imparato da Claudio, soprattutto, il come affrontare le difficoltà della vita. Ci legava la sofferenza. Mi aveva colpito un infarto e lui aveva la sua malattia che non gli impediva di andare in giro, suonare e ridere della vita.

Era il periodo in cui avevi perso la voglia di suonare? 

Sì, non volevo più suonare. Volevo cercare altro. I Litfiba, i Csi e gli altri e così mi ritrovai a 50 anni a non avere più gli stimoli giusti.

Ed invece sei tornato a suonare e a produrre. Utilizzi molto la tecnologia, il web e i social media.

Direi di sì. Ho coltivato sin dai tempi dei Csi l’interesse per le potenzialità della «rete». Questo si sente in Vdb23: è un disco multistrato, arrangiato seguendo le parole di Claudio, i suoi insegnamenti, che sono un inno alla vita.