Ma insomma, personalizza oppure no? Una volta dice che il referendum costituzionale sarà una sfida tra «l’Italia che vuole correre e quella ancorata al passato», che «se vince il no mi dimetto», che «il no si giustifica solo con l’odio nei miei confronti». Un’altra volta, per esempio ieri, Matteo Renzi spiega che «personalizzare il referendum non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no». Ha cambiato strategia, si è reso conto che puntare tutto su di sé è controproducente, vuole dare ascolto alle inquietudini di Reichlin, forse di Napolitano e magari di Mattarella? No, Renzi è semplicemente in campagna elettorale. Dunque sostiene e sosterrà di tutto, facendo capriole e cercando di occupare ogni spazio dell’offerta politica. Ci riuscirà: tv e giornali non gli fanno notare le contraddizioni. In questo momento sono impegnati a lanciare con lui la raccolta di firme per il sì – comincia sabato – mentre non hanno ancora raccontato che la campagna del no è già partita da un mese.

L’identificazione tra il governo, anzi tra il presidente del Consiglio e la riforma costituzionale non è un’invenzione degli ultimi giorni. È il tratto originario del disegno di legge (Renzi-Boschi) che il governo ha scritto, emendato a palazzo Chigi, fatto approvare da senato e camera imponendo ritmi, trucchi e strappi ai regolamenti.
Presentandosi alle camere, il presidente del Consiglio aveva promesso la trasformazione del senato. Dunque ha ragione anche Boschi quando dice (personalizzando) che «non sarebbe serio tenere distinto il giudizio sulle riforme da quello sul governo». Ma in quel discorso Renzi aveva demolito il personale politico delle regioni: «È cambiato il clima per quello che è accaduto sui rimborsi elettorali». Pensava allora a un senato dei sindaci; rischiamo un senato di consiglieri regionali in gita a Roma.

Riportare la campagna elettorale al contenuto della riforma è faticoso, le pillole di «merito» dispensate da palazzo Chigi sono tutte avvelenate. «Se vince il sì, per fare le leggi e votare la fiducia sarà sufficiente il voto della camera come accade in tutte le democrazie», ha scritto ieri Renzi. Ma in Europa ci sono 13 paesi con un sistema parlamentare bicamerale, tra i quali Germania, Francia e Spagna. Bicamerale resterà anche il nostro: dopo la riforma ci saranno almeno sei diversi procedimenti legislativi, quattro dei quali passano per il senato. Non lo diciamo noi: lo ammette il governo nel volantino che ha prodotto per spiegare il nuovo articolo 70 della Costituzione. Prima era composto da 9 parole e adesso, per «semplificare», da 439.