Causa Covid-19, il Pil italiano si potrebbe ridurre quest’anno dell’8,5% al Centro-Nord e del 7,9% al Sud. Il dato emerge dal report stilato dalla Svimez, che sottolinea due punti: l’emergenza sanitaria ha colpito più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici uniscono il paese; il Sud rischia di rimanere indietro nella fase della ripresa perché sconta la precedente crisi, dalla quale non si è ancora ripreso. In particolare, spiega il presidente della Svimez Adriano Giannola, «il costo e il grado di indebitamento più la redditività operativa portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali quattro volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord».

La pandemia ha travolto il Settentrione eppure molte fabbriche hanno continuato a produrre.
Senza entrare nel merito del giudizio su bene e male, non hanno chiuso perché se avessero perso le commesse c’erano altri pronti a sostituirli. Quindi per sopravvivere hanno fatto di tutto, provocando la morte dei loro concittadini. Il blocco che non c’è stato, la mancata zona rossa sono scelte drammaticamente prese perché è prevalsa l’idea di non danneggiare troppo il sistema produttivo locale. Ora chiedono investimenti al Nord. Qual è il messaggio che viene, subliminale, da grandi intellettuali e accademici? Che occorre aiutare il Nord, la parte che ha subito un dramma umano pesantissimo. Ma l’impatto umano non c’entra con quello economico.

È giusto dare il via libera alle attività anche in regioni dove il contagio è ancora alto?
Il Veneto ha già riaperto da un pezzo. Sarebbe prudente evitare di accelerare troppo, poi capisco l’esigenza economica. Ma le condizioni di sicurezza devono essere stringenti e ognuno si deve prendere la responsabilità di riaprire quello che certifica essere in sicurezza. In certe aree di Lombardia e Piemonte, ad esempio, si dovrebbero mantenere delle zone rosse per limitare il pericolo di espansione del virus. Al Sud invece si può riaprire ma se riesplode il contagio si deve essere pronti ad agire. Si può accettare il rischio ma in modo controllato.

Invece si è scelto di utilizzare le stesse misure ovunque.
Rimettiamo in moto il paese ma cambiamo strada. Il messaggio che passa è che dobbiamo correre perché siamo stati fermati dal virus. Ma è una posizione che non ha senso. Dalla crisi del 2007 al 2019 la corsa non c’è stata, nessuna ripresa, il Nord ha fallito la capacità di trainare il paese e infatti siamo lo stato Ue che cresce di meno. E anche quando cresciamo, lo facciamo estraendo risorse dal Sud come ha dimostrato l’operazione verità sulla perequazione mancata: sussidiamo il Nord che uccide il Sud e, così, finisce per ammazzare se stesso. Il Settentrione, senza il mercato meridionale, cresce dell’1% quando va bene. Il risultato di questa politica è che nel 2020 il Mezzogiorno si troverà 18 punti di Pil in meno rispetto al 2007, il Centro-Nord circa 10. Non ripartiremo come se fossimo a marzo: riapriranno in molti meno, gli equilibri finanziari sono saltati. Ci troveremo con una struttura produttiva, soprattutto al Sud, più fragile rispetto a quella che avevamo. Sono stati vanificati gli ultimi anni di lento miglioramento.

Gli investimenti dovrebbero andare alle aree più colpite dal Covid-19?
Una cosa è il sostegno ai redditi, all’economia, alla liquidità delle imprese, un’altra è parlare di opere pubbliche, investimenti, infrastrutture. Nel documento del dipartimento di Programmazione delle politiche economiche, redatto sotto la responsabilità politica del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mario Turco, c’era la proposta di congelare la clausola del 34% degli investimenti in conto capitale destinati al Sud. Quella destinazione non ha nulla a che fare con la pandemia, sono opere pubbliche di cui il Sud ha bisogno. Soprattutto adesso in cui emergono tutte le sue fragilità, come nella Sanità o nella Scuola dove, con la scusa della didattica on line, magari domani si copriranno le carenze di mense e doposcuola. La filosofia di intellettuali ed economisti del Nord è: con la fine della pandemia il Settentrione avrà un rimbalzo economico, il boom può essere messo in crisi solo da burocrazia e «dall’ideologia pauperista del sud». I pauperisti sarebbero quelli che difendendo le risorse che spettano al Meridione. Svimez, Istat, i Conti pubblici territoriali elaborati dall’Agenzia della Coesione hanno dimostrato che ogni anno il Nord prende 60 miliardi in più di quelli che gli spetterebbero.

Cosa si dovrebbe fare?
L’Italia è al centro del Mediterraneo, il 30% del traffico mondiale passa da qui. Al Nord conviene rilanciare il Sud come polo logistico dell’Europa in un’ottica green, agganciarsi alla sua crescita sviluppando logistica, porti, Zone economiche speciali, nuova manifattura e investimenti. Il piano Sud 2030 del governo implica questa strategia ma lo fa in modo molto sotterraneo per non disturbare il Pd del nord.

Nel Meridione molti chiedono un reddito di emergenza.
Bisogna estendere il reddito di cittadinanza a chi non è protetto, visto anche che sono stati spesi molti meno fondi di quanto preventivato. La situazione la cambiamo solo creando sviluppo e facendo ripartire l’economia. Così si esce dal rdc e anche dal lavoro in nero. Ora non ti chiedo niente e domani ti do delle alternative. Del resto il nero è legato anche all’economia del Nord: è parte della subfornitura di diverse filiere economiche perciò meno ipocrisie.