Nella Torino del boom industriale sulle porte delle case in affitto erano esposti, a volte, cartelli di questo tenore: «Non si affittano le case ai meridionali». Era il tempo dei vagoni ricolmi di uomini e donne in arrivo dal meridione, che vivevano accampati nelle baraccopoli adiacenti alla grande fabbrica degli Agnelli. Sognavano una casa e una vita normale, che spesso gli veniva negata per ragioni poco razionali. Mille anni paiono separare la città di allora e quella dei loisir odierna: Torino non è una città intollerante, ma qualche sacca di “resistenza” sopravvive. Accade che una giovane coppia di uomini cerchi un appartamento da affittare in una zona popolare con aspirazioni piccolo borghesi della città: in tempi di feroce crisi economica l’unico parametro che “il mercato” richiede è la solvibilità, presente e futura. I due non hanno problemi in tal senso, perché possono definirsi benestanti in virtù dei buoni incarichi professionali che ricoprono: entrambi, inoltre, afferiscono al paradiso del diritto del lavoro perché hanno in tasca un contratto a tempo indeterminato.

Simone Schinocca e il suo compagno iniziano fiduciosi la ricerca, ma da subito si scontrano con il concetto di famiglia composta da padre, madre, figliolanza. Oltre vi sono le tenebre dell’inferno. E quindi alla giovane coppia torinese del 2017, che vive una vita normale e cerca una casa normale non viene riconosciuta la dignità di essere considerata una famiglia normale. Lo racconta Simone, in un lungo sfogo che ha fatto il giro della rete: «Oggi l’agente immobiliare con infinito imbarazzo mi dice che la proprietà non vuole. Vuole una famiglia. Vuole qualcuno che stia a lungo. Io provo a ribattere, ma nella casa in cui sto sono quasi 8 anni: lui mi risponde che lo sa, ma vogliono una famiglia». Poi aggiunge: «Continuo a pensare che ognuno la propria casa la dia a chi vuole. Ma due volte a distanza di poco lascia grande tristezza addosso. Capita nel 2017 – commenta amaro – In un paese che ha (finalmente) le unioni civili. Facile dire uguaglianza? Ma poi alla messa alla prova chi affitterebbe, chi darebbe fiducia a una coppia gay, a una coppia straniera, a una persona di colore… Così come quaranta cinquanta anni fa non si ’fittava ai meridionali’ come raccontava mio padre».

Ma la disavventura, se così si può definire, non è un evento isolato. Schinocca racconta un precedente episodio, avvenuto solo qualche tempo prima: una bella casa che la coppia si era detta pronta ad affittare, ma che nel giro di una notte ha trovato un miracoloso nuovo inquilino. «Una notizia che ci porta brutalmente indietro di decenni» sostiene Francesca Puopolo, presidente di Arcigay Torino, dopo l’annuncio di una coppia di ragazzi omosessuali che si è vista rifiutare una casa perché non considerati famiglia. «Si tratta di una grave forma di discriminazione. Pensare che una coppia di ragazzi, che si ama, che vive insieme e che ha progetti per il futuro, non sia ritenuta una vera famiglia pone un grave problema di disparità».