Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa la diagnosi che faceva, circa trentacinque anni fa, Nicos Poulantzas in L’État, le pouvoir, le socialisme (il libro non è tradotto in italiano).

«Assistiamo a trasformazioni importanti dello Stato nelle società capitaliste occidentali. Una nuova forma di Stato si sta imponendo: bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene. Designerei questa forma di Stato con il termine, in mancanza di meglio, di statualità autoritaria. La tendenza generale di questo mutamento è data dall’accentramento, da parte dello Stato, dell’insieme della sfera economico-sociale articolata con il declino decisivo delle istituzioni della democrazia politica e accompagnata dalla restrizione draconiana, e multiforme, delle libertà cosiddette ‘formali’, di cui, ora che si riducono, scopriamo l’importanza».

Per Poulantzas, il declino della democrazia si costituisce di alcuni elementi essenziali, tra cui vi è lo spostamento di potere dal parlamento al potere esecutivo; i partiti non sono più gli interlocutori privilegiati dell’amministrazione politica, che invece risponde a degli interessi particolari; i mezzi di comunicazioni di massa, e non la scuola o l’università, diventano il luogo dell’egemonia culturale.

Questi processi portano a nuove forme di consenso plebiscitario unite a nuove forme di legittimazione tecnocratiche. In realtà, scrive l’autore, non siamo di fronte ad una crisi, al marcire della democrazia, né al ritorno dei fascismi. Lo Stato autoritario è la nuova forma democratica degli stati capitalisti nella fase attuale.