Due morti, oltre 60 feriti (molti gravi) e 70 arresti. Questo il bilancio delle violenze seguite alle manifestazioni studentesche organizzate dall’opposizione venezuelana giovedi a Caracas. A rimetterci la vita, uno studente di destra, Bassil Alejandro de Acosta, e un leader chavista molto conosciuto nello storico quartiere del 23 Enero, Juan Montoya, detto Juancho: uccisi entrambi con un colpo alla nuca. Un altro colpo ha raggiunto alla pancia una ragazza che cercava di impedire l’assalto a Vtv, la televisione di stato, e si è pensato a un terzo morto, ma dopo essere stata operata la ragazza sembra fuori pericolo. La tensione era alta già da qualche giorno. In diversi stati del paese – Merida, Trujillo, Aragua e Carabobo – c’erano stati tafferugli e qualche fermo, ma le manifestazioni nella capitale si erano svolte senza incidenti fino a tarda sera. Poi, le violenze, gli spari e i morti.

Un'immagine falsa su presunte violenze poliziesche in Venezuela inviata sulle reti sociali e risultata essere una foto di repressione in Cile
Un’immagine falsa su presunte violenze poliziesche in Venezuela inviata sulle reti sociali e risultata essere una foto di repressione in Cile

Le camicie rosse chaviste festeggiavano la giornata della gioventù e i 200 anni di una storica rivolta contro il colonialismo spagnolo. I giovani di opposizione, che hanno sfilato dietro le bandiere della Mesa de la unidad democratica (Mud) rispondevano agli appelli delle ali più oltranziste dell’opposizione e dei gruppi imprenditoriali: per chiedere «la salida», la partenza di Nicolas Maduro dalla presidenza del Venezuela. In prima fila, volti noti del golpe del 2002, intentato contro l’allora presidente Hugo Chávez: Leopoldo Lopez, Maria Corina Machado e Antonio Ledezma.

Più defilato, il governatore dello stato Miranda, Henrique Capriles, antagonista (sconfitto) prima di Chávez e poi di Maduro nelle ultime due presidenziali: «La partenza di Maduro deve avvenire per via istituzionale», ha ripetuto il leader della Mud, prima e dopo la comparsa in piazza con gli studenti del suo campo. «È un gioco della parti – ha ribattuto la vicepresidente del parlamento Blanka Eekhout – gli appelli alla violenza continuano».

Per il governo, è in corso un tentativo destabilizzante simile a quello del 2002. Allora, alcuni cecchini spararono su manifestanti delle due fazioni e i grandi media privati incolparono subito i militanti chavisti, prima di essere smentiti dal video e dalle testimonianze di giornalisti stranieri. Nonostante la morte di Chávez e le difficoltà del paese, il Venezuela socialista non è però più quello di allora. L’unione civico-militare appare solida e motivata sul piano sociale e politico. Gli strati popolari e anche parte della classe medio bassa non vogliono tornare alle ricette neoliberiste che riporterebbero indietro l’orologio della storia e spazzerebbero via i piani di misure sociali realizzati dal governo.
Anche buona parte della classe media che vota la Mud ieri non ha risposto all’appello per il solito concerto di pentole richiesto da Lopez e soci. Una parte dell’opposizione, più legata ai vecchi meccanismi clientelari della IV Repubblica, ha apparentemente risposto alla mano tesa di Maduro per un incontro di conciliazione su alcuni temi di interesse comune.
Divisa e litigiosa, la Mud cerca di conservare le poltrone e di trovare altri leader più confacenti di Capriles: per prepararsi alle prossime tornate elettorali (le legislative alla fine del 2015, le governazioni nel 2016 e le presidenziali nel 2019). Intanto, persegue anche la possibilità di un referendum revocatorio contro Maduro: una possibilità contemplata dalla Costituzione ma a metà mandato (2016) e a condizione di raccogliere almeno 4 milioni di firme.

«Chi si aspetta una presunta primavera venezuelana, sbaglia – dice al telefono Estela Aganchul, responsabile dell’edizione venezuelana di Le Monde diplomatique – mi sembra piuttosto un piano orchestrato per essere amplificato dai grandi media internazionali e replicato su alcune reti sociali, come da copione. S’inventano inesistenti aggressioni della polizia a studenti di opposizione, si moltiplica il numero dei morti. C’è chi ha interesse a far diventare reali i propri desideri destabilizzanti». Aganchul racconta di aver incontrato «studenti di opposizione ignari del perché andassero a protestare», e che tutto sembrava calmo fino alla fine delle dimostrazioni. «Leopoldo Lopez era con gli studenti che chiedevano di essere ricevuti dalla Procuratrice generale, e appena è andato via sono comparsi gli incappucciati. Sembra quasi che non veda l’ora di essere perseguito dalla legge per trasformarsi nel primo perseguitato politico del “regime”».

Ieri, il quotidiano di opposizione El Universalha pubblicato la copia di un ordine di cattura emesso nei confronti di Lopez, confermato dal suo partito Voluntad popular. Fino al momento di andare in stampa, però, l’ex sindaco del municipio Chacao si trovava in casa sua. La magistratura ha invece emesso due mandati di cattura per l’ex diplomatico Fernando Gerbasi e per Ivan Carratu, ex ufficiale durante il governo di Carlos Andrés Pérez (1974-’79, e 1988-’93). Entrambi compaiono in un video diffuso da Vtv nel quale anticipano che ci sarebbero stati morti nella giornata del 12 e tentativi destabilizzanti.

Il ministro degli Interni, Giustizia e Pace, Miguel Rodriguez Torres, ha assicurato che «saranno rispettati i diritti umani di tutte le persone detenute, le quali comunque dovranno rendere conto della propria condotta secondo la legge». Ha anche affermato che uno studente ha confessato che i leader studenteschi «hanno pagato i manifestanti». Molti studenti sono stati già rimessi in libertà o posti agli arresti domiciliari.

In una concerenza stampa, i collettivi del 23 Enero hanno affermato che non risponderanno con la violenza all’uccisione del loro compagno. Anche molti studenti dell’opposizione hanno chiesto di far luce sui fatti di sangue. Il ministro della Cultura, Fidel Barbarito, ha ricevuto le loro delegazioni per raccoglierne le proposte. Maduro ha fatto appello «ai popoli fratelli dell’America latina e dei Caraibi» perché stiano all’erta contro «questo nuovo pericolo per la democrazia e la pace». I presidenti dell’Uruguay, Pepe Mujica e dell’Ecuador, Rafael Correa, sono stati i primi a rispondere con messaggi di solidarietà.