Otto ore davanti ai giudici. La ex deputata venezuelana Maria Corina Machado ha risposto alle domande dei magistrati in merito all’accusa di aver partecipato a un piano per uccidere il presidente Nicolas Maduro. Un’inchiesta in corso, che vede coinvolti politici della destra, imprenditori fuggiti a Miami, ex funzionari della petrolifera di stato Pdvsa e anche un diplomatico statunitense, Kevin Whitaker, ambasciatore in Colombia. Intercettazioni ambientali e telematiche li accusano di aver finanziato e diretto una vasta rete cospirativa per far cadere con ogni mezzo il governo socialista coinvolgendo militari e leader delle proteste. A monte, una riunione detta «la Festa messicana» a cui – secondo le informazioni governative – avrebbero partecipato gruppi nazisti provenienti dalla Colombia, personaggi politici di opposizione e leader della destra che hanno animato le barricate violente di questi mesi.

Per questo, sono stati spiccati tre mandati di cattura e diverse figure di opposizione sono state invitate a comparire davanti ai giudici. Ieri, è  andata a deporre anche Gabriela Arellano, leader degli studenti oltranzisti. E per questa settimana, il governo venezuelano ha promesso che fornirà altri dettagli del piano eversivo.

Figlia della grande imprenditoria venezuelana, Machado è stata eletta nell’alleanza di opposizione, la Mesa de la unidad democratica (Mud). Rappresenta l’ala più oltranzista e filo-americana. Insieme a Leopoldo Lopez e al sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, a partire da febbraio ha promosso la campagna «la salida», per chiedere la cacciata dal governo di Maduro.

Dopo le proteste violente, scoppiate il 12 febbraio, Machado ha effettuato una serie di viaggi all’estero per compattare le destre latinoamericane contro il socialismo bolivariano e per chiedere sanzioni agli organismi internazionali. In questo contesto, si è recata presso l’Organizzazione degli stati americani (Osa) per denunciare «il regime dittatoriale di Maduro e la violazione dei diritti umani». L’ex presidente del Panama, Ricardo Martinelli, le aveva allora lasciato il suo diritto di parola perché intervenisse come rappresentante ufficiale: una violazione della Costituzione venezuelana, ha stabilito il parlamento di Caracas, che l’ha deposta dall’incarico a marzo. Marcando un notevole cambiamento di registro rispetto alla consueta subalternità a Washington, l’Osa non aveva peraltro lasciato spazio all’oltranzista, senza per questo stopparne gli ardori. Venerdì scorso, Machado ha chiesto alla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) «protezione» e «il ripristino» dei suoi diritti costituzionali.

«Quest’inchiesta è grottesca e falsa, il mio arresto sarebbe la fine di questa dittatura agonizzante», ha dichiarato Machado all’uscita del tribunale. Con lei, c’era la moglie di Leopoldo Lopez, Lilian Tintori. Lopez si trova in carcere da quasi quattro mesi come mandante delle violenze di piazza, che hanno finora provocato 42 morti e oltre 800 feriti. Il suo processo si terrà probabilmente a fine agosto.

Al vertice del G77 più Cina, che si è tenuto in Bolivia, Maduro si è riunito con il segretario generale delle Nazioni unite, Ban-ki-moon, a cui ha denunciato «l’intervento americano» contro il suo governo e «l’attentato alla stabilità e alla sovranità del Venezuela». I presidenti dei governi socialisti latinoamericani gli hanno espresso solidarietà. Nell’ambito dei nuovi Obbiettivi di sviluppo del Millennio, Maduro ha illustrato i progressi compiuti dal chavismo in 15 anni di governo, testimoniati da tutte le inchieste: la povertà estrema che nel 1999 era al 10,8% già l’anno dopo – grazie alla ridistribuzione della rendita petrolifera a favore degli strati popolari – era scesa al 5,5%.

Oggi, il Venezuela ha il coefficiente di Gini – che indica il paese con meno disuguaglianze – più basso dell’America latina. Anche la disoccupazione che durante la crisi economica mondiale del 2009-2010 ha colpito oltre 15 milioni di persone nei paesi capitalisti, in Venezuela è rimasta intorno all’8% e ora è al 7,1%, a fronte del 14,6% del ’99. E questo nonostante la «guerra economica» scatenata dai poteri forti per minare il suo governo: il 30% dei prodotti viene sottratto dal contrabbando e rivenduto oltrefrontiera; a causa delle proteste violente, 280 tonnellate di alimenti non hanno potuto essere distribuiti; si contano danni per 10 milioni di dollari, e una diminuzione del turismo del 45,5%: «siamo vittime di una campagna imperialista – ha detto Maduro a una riunione con i movimenti sociali in Bolivia – ma il nostro popolo non si piegherà. E se le destre vorranno intervenire dovranno affrontare un altro Vietnam».